di Leonardo Botta

Sono stato, per fortuna per poco tempo, docente precario. Ricordo qualche estate passata a spulciare i bollettini dell’ufficio scolastico territoriale, al fine ricavare proiezioni in merito all’incarico di insegnamento annuale che mi sarebbe potuto essere affidato per l’anno scolastico successivo. La stessa trafila la stanno seguendo, ora come ogni anno, migliaia di insegnanti; e stanno subendo le stesse ansie nell’attesa di conoscere la sede d’incarico e nella speranza che prima o poi arrivi l’agognata immissione in ruolo.

Devo dire che le nuove procedure che il ministero e i provveditorati (una volta si chiamavano così) hanno man mano negli anni implementato, hanno consentito un notevole snellimento delle pratiche, con una informatizzazione e dematerializzazione della burocrazia di cui gli insegnanti si stanno oggettivamente giovando: fino a un decennio fa, una volta scelta mediante istanze cartacee la provincia per le supplenze annuali (talvolta distante centinaia di chilometri dalla propria residenza), toccava presentarsi, alla data convenuta, presso gli uffici scolastici per scegliere la sede sulla scorta delle graduatorie di merito e firmare l’opzione di incarico, che sarebbe stata poi perfezionata con la stipula del contratto presso l’istituto scolastico di destinazione.

Anche le tempistiche si sono notevolmente accorciate: ricordo che, una volta, i primi incarichi annuali arrivavano entro la metà di settembre, appena qualche giorno prima (se non dopo) l’avvio delle lezioni. Per i docenti già di ruolo, le assegnazioni provvisorie verso scuole più vicine al proprio comune spesso si protraevano addirittura fino a ottobre, novembre od oltre. Viceversa con le procedure telematiche, per esempio nella mia regione, la Campania, l’anno scorso i precari inseriti nelle varie graduatorie (GAE, GPS) hanno ottenuto già il primo settembre (data di avvio ufficiale dell’anno scolastico) l’incarico di supplenza annuale, grazie al cosiddetto “algoritmo” che, sulla scorta delle preferenze degli istituti effettuate in precedenza (sempre in modalità telematica) sul portale del Ministero dell’Istruzione, ha consentito loro di firmare il contratto sin dal primo giorno.

Quest’anno gli scenari sembrano essere mutati: il primo settembre è passato, ma dell’incarico non si vede ancora traccia. Sono cominciate a circolare voci di corridoio: persone bene informate presso gli uffici scolastici sostengono che arriverà verso il 10 settembre, appena prima dell’inizio delle lezioni che, in Campania, è previsto il dodici (in realtà qualche scuola, sfruttando le norme sull’autonomia, avrà già cominciato il nove, per recuperare qualche giorno durante l’anno).

In tutto ciò, questi insegnanti si saranno persi i primi collegi docenti, le prime riunioni di dipartimento o disciplina, appuntamenti senz’altro importanti per partecipare alla programmazione e prendere confidenza con il (spesso) nuovo ambiente scolastico, atteso che a questi figli minori del Miur (oggi MIM, Ministero dell’Istruzione e del Merito), proprio in ragione della loro precarietà, capita di cambiare spesso e volentieri istituto.

Nel frattempo, avranno perso anche qualche centinaio di euro di stipendio. Già, lo stipendio; chissà, forse la questione è tutta qui: “l’acqua è poca, ossia scarseggia, e la papera non galleggia”; vien da pensare maliziosamente a qualche “ordine di scuderia”, dal governo, dai ministeri economici o dagli uffici periferici, per risparmiare qualche soldino; e allora ecco spiegati i ritardi di quest’anno.

E non oso immaginare cosa succederebbe qualora trovasse piena attuazione, in materia di istruzione, la riforma sull’autonomia differenziata, con regioni costrette più di altre a raschiar il barile delle proprie finanze a danno di insegnanti, famiglie e soprattutto studenti.
Magari mi sbaglio e sto mal pensando: forse si tratta di ritardi fisiologici, legati anche alle tempistiche delle nuove assunzioni operate quest’anno con le misure Pnrr. Ma, si sa: a pensar male…

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