Sulla famosa intervista del Tg1 al ministro Sangiuliano si è già detto tutto il possibile, in tutte le forme: articoli, vignette, meme, parodie scritte e cantate. Intervengo a bocce ferme o quasi (non è un battuta, ho scritto così poi mi sono accorto del possibile calembour) come osservatore (diciamo così in modo che nessuno mi accusi di presunzione) di interviste televisive per segnalare un paio di scompensi sul piano del linguaggio televisivo, senza toccare i contenuti e il merito molto ampio del problema politico.
Cominciamo dall’aspetto del palinsesto. L’intervista va in onda dopo il Tg, non al suo interno, come uno “speciale” e uno “speciale” presuppone la presenza di un fatto di particolare importanza e gravità. Ricordate le apparizioni di Giuseppe Conte, tanto criticate per i tempi, i modi, i luoghi. Be’… giuste o sbagliate che fossero, riguardavano una faccenda assai delicata, la pandemia, i comportamenti da tenere o da evitare da parte di tutti gli italiani. Non direi che le informazioni comunicate dal ministro nei 17 minuti di intervista avessero i caratteri di urgenza e di indispensabilità per la vita degli italiani (a parte la moglie del ministro). Insomma, la scelta dello speciale, di una sorta di edizione straordinaria è stata un po’ stonata (io vado piano con gli aggettivi). Se a questo poi si aggiunge la definizione di “esclusiva” sottolineata dalla grafica, l’ironia si fa strada facilmente, la caduta nel ridicolo è a un passo.
Poi si comincia e subito si manifesta un problema di prossemica. I due sono molto lontani tra loro, troppo lontani. Che senso ha quel vuoto che si viene a creare, così evidente, innaturale? Vuole forse essere il segno della “giusta distanza”, sacra regola del buon giornalista? Fugare possibili e inevitabili dubbi di una vicinanza negata dalla rappresentazione ma esistente di fatto: il direttore del Tg1 e l’ex del Tg2, colleghi vicini anche per appartenenza apolitica? Insomma sembra un mettere le mani avanti che produce risultati molto discutibili (sto sempre sul prudente…) sul piano della costruzione dello spazio nelle inquadrature.
Alla fine c’è poi il problema del tono e del suo brusco cambiamento che lascia un po’ perplessi. Sangiuliano, infatti, affronta l’intervista con un tono decisamente ministeriale, quasi burocratico, razionale e oggettivo come può essere l’estratto di un conto corrente. Poi all’improvviso arriva la commozione, il pianto trattenuto a stento. Ora tutti sappiamo che il pianto nel corso dell’intervisto è un topos televisivo. La storia è piena di esempi clamorosi, da Eddy Mercks, il ciclista invincibile, il cannibale che non regge l’accusa ingiusta di doping a Mario Moretti il leader delle BR incalzato da Zavoli sulle sue responsabilità personali nell’esecuzione di Moro.
Ora alla lista si aggiunge anche il pianto di Sangiuliano, che però ha uno scarto rispetto al resto dell’intervista con cui ha poca coerenza. Il pensiero della Presidente del Consiglio, rigorosamente al maschile come vuole il galateo di destra, è un po’ troppo debole per produrre tanta commozione. Quando poi entra in ballo la moglie, per me è inevitabile ripensare al celebre titolo con cui fu maldestramente tradotto in italiano l’originale di un film di Truffaut: Non drammatizziamo… è solo questione di corna.