Nonostante i bilanci testimonino il buono stato di salute e il portafogli sia ricco di progetti e finanziamenti, la Regione vuole tirarsene fuori. Ha del paradossale la vicenda che in Sicilia interessa la Sis, la società che si occupa degli interporti dell’isola. Partecipata per l’89,71 per cento direttamente da palazzo d’Orleans e per il dieci per cento indirettamente tramite l’Azienda siciliana trasporti, la Sis è nata a metà anni Novanta per raggiungere soprattutto due obiettivi: costruire gli interporti di Catania e Termini Imerese, nel Palermitano.

Nel primo caso, i risultati sono stati già raggiunti per buona parte: dei tre lotti in cui è stata divisa l’opera, i primi due – per un valore di circa 38 milioni di euro – sono stati completati e dati in gestione, mentre il terzo – di altrettanto valore – è in dirittura d’arrivo. In più, nel sito catanese, sono arrivati due milioni di euro tramite il Pnrr. L’infrastruttura a Termini Imerese, invece, nonostante annunci e promesse non ha ancora visto la luce, ma negli ultimi anni si sono compiuti passi in avanti passando dal completamento del progetto all’avvio della procedura di esproprio dei terreni in cui dovrebbe essere costruito l’interporto.

Il condizionale, però, è d’obbligo in quanto la Regione Siciliana la scorsa primavera ha ufficializzato la volontà di liquidare la Sis. Una decisione, che è stata messa nero su bianco nel piano di razionalizzazione delle società partecipate firmato dal presidente Renato Schifani, e che sembra aver sorpreso tutti. “L’annunciata liquidazione della Società degli Interporti Siciliani da parte del governo regionale – hanno dichiarato il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, e il segretario della Filt Sicilia, Alessandro Grasso – è incomprensibile e temiamo che dietro ci siano manovre che hanno poco a che vedere con l’interesse pubblico e molto invece con interessi di gruppi di potere ben individuati che voglio mettere le mani su infrastrutture strategiche per la nostra regione e su ingenti finanziamenti pubblici”.

L’allarme dei sindacati sembra fare eco a un dossier che da qualche settimana circola tra i corridoi dell’Assembla regionale siciliana. Si tratta di una decina di pagine in cui, punto per punto, viene messa in discussione la scelta del governo di centrodestra, sia dal punto di vista dei presupposti strettamente giuridici che da quello dell’opportunità per la Regione di disfarsi di una partecipata che – a differenza di tanti altri casi – non risulta navigare in alcun modo in cattive acque.

L’origine del documento, che contiene informazioni che dimostrano la conoscenza dettagliata delle attività della società, non è chiara. Ma non è escluso che la sua redazione possa essere stata sollecitata da qualcuno che è politicamente contrario alla dismissione della Sis, e ciò non ne determinerebbe automaticamente l’appartenenza all’opposizione. Anche all’interno del centrodestra, infatti, non mancherebbe chi nutre perplessità sulla scelta del governo. “Appare palese e documentalmente provato che Sis non versi in stato di insolvenza né di decozione”, si legge nel documento visionato da ilfattoquotidiano.it. A provare ciò è anche l’esame dei bilanci del triennio 2020-2022 chiusi tutti in attivo. Nel dossier viene specificato che non sussistono “i presupposti per la messa in liquidazione e che tale decisione comporterebbe soltanto gravi danni economici”.

Tra i rischi finanziari che si paleserebbero all’orizzonte, nel caso in cui la società venisse messa in liquidazione, stando al documento che è finito in mano anche a qualche deputato regionale, ci sono i contenziosi che potrebbero sorgere con i gestori dei due lotti catanesi completati – il consorzio Aias Service e la Luigi Cozza Trasporti – nonché quello di ritrovarsi a dover fronteggiare una partita non semplice con gli appaltatori del terzo lotto nata da contrasti nell’esecuzione delle opere: “Sono in corso delle trattative con l’impresa appaltatrice, volte a pervenire a un accordo transattivo che neutralizzerebbe le riserve apposte per un valore di circa 20 milioni di euro”, viene ricordato nel dossier. Al momento l’accordo sarebbe quello del ritiro delle riserve a fronte di 900mila euro che la Sis recupererebbe dal quadro economico già esistente. “Qualora le trattative fossero interrotte, a causa della paventata messa in liquidazione dell’ente, si esporrebbe quest’ultimo ad un contenzioso dagli esiti altamente incerti”.

Dalla parte opposta della Sicilia, invece, un passo indietro della Regione dalla Sis potrebbe pregiudicare definitivamente le possibilità di vedere nascere l’importante polo sulla costa tirrenica palermitana. Una prospettiva che lo stesso governo Schifani, nelle settimane in cui pensava alla liquidazione della Sis, sembrava non voler prendere in considerazione: “La Sis è destinataria di fondi Fsc (Fondo sviluppo e coesione) pari a 30 milioni di euro per la realizzazione del polo logistico dell’interporto di Termini Imerese”, viene messo in evidenza rimandando a una delibera della giunta Schifani di maggio scorso.

Quale sia la chiave di lettura di quello che sta accadendo attorno alla società che non è chiaro. “Abbiamo letto e riletto le carte ma non abbiamo trovato motivazioni valide e fondate che giustificano la liquidazione – dichiara a ilfattoquotidiano.it il deputato del Pd Fabio Venezia –. Nella speranza di avere i necessari chiarimenti, nei mesi scorsi abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare e abbiamo chiesto un’audizione in commissione Bilancio convocando gli assessori Falcone (all’epoca al Bilancio, oggi eurodeputato di Forza Italia) e Aricò (Infrastrutture), ma entrambi non si sono presentati. La questione sta assumendo contorni poco trasparenti e tutto ciò appare inaccettabile”.

Intanto proprio a fine agosto dall’assessorato al Bilancio è arrivata una nota per sollecitare l’avvio della liquidazione: “Considerato l’ampio lasso di tempo trascorso senza che sia stata data esecuzione al deliberato, si invita a voler procedere senza ulteriore indugio alla convocazione dell’assemblea straordinaria avente per oggetto la liquidazione della società e contestuale nomina del liquidatore”. Nel 2023, la Sis è finita in un’indagine della procura di Catania su presunti favori e pressioni che avrebbero condizionato l’attività della società. Il processo di primo grado al tribunale etneo è attualmente in corso e vede tra gli imputati lo stesso Falcone e l’ex assessore al bilancio Gaetano Armao.

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