“Sulla questione Sangiuliano il direttore ha posto il veto ”. A parlare è Dalmazio Frau, storico collaboratore del quotidiano di area L’Opinione delle Libertà diretto da Andrea Mancia. Dal 2019 scrive articoli sull’arte per il foglio rifondato da Arturo Diaconale ma solo l’ultimo, dopo l’affaire Sangiuliano-Boccia, viene stoppato dall’alto e nulla può il caporedattore che pure si spende perché sia pubblicato. Perché? Ed è qui che si capisce dove dolga il dente a destra. L’articolo si intitola “Noi, banda di Fratelli” e in sostanza sostiene che l’ultimo caso di un ministro che fa tremare il governo e irridere l’Italia non è gossip ma un problema politico per l’esecutivo e insieme il segno di quanto scandente sia la classe dirigente che Fratelli d’Italia ha portato al governo per “fare la Storia”, come dice Meloni. Il problema è solo uno: dirlo a destra.

L’articolo che il Fatto.it ha potuto leggere (e pubblica qui integralmente) non era infatti un attacco diretto al ministro compromesso con l’amante senza incarico, bensì un ben più duro j’accuse rivolto a Giorgia Meloni e ai vertici del partito per scelte che premiano designazioni inconciliabili con la promessa di un riscatto della destra culturale che eppure esiste nel Paese, ma viene sistematicamente esclusa dagli incarichi che contano per premiare personalità sicuramente fedeli, controllabili, compiacenti ma inadeguate al ruolo. Tutti concetti che a destra trovano poco spazio per la chiusura a testuggine di vertici, quadri e dirigenti all’autocritica interna, come quella mossa pochi giorni fa sull’Huffington Post da un decano del pensiero liberare di destra come Marcello Veneziani, autore di libri dai titoli affatto ambigui come La cultura della destra e La sconfitta delle idee (editi da Laterza). I Vinti, Rovesciare il ’68, Dio, Patria e Famiglia. Dopo il declino. Veneziani sul caso Sangiuliano non si adegua all’ordine di scuderia di difenderlo a tutti i costi ma infilza dritto chi l’ha messo ai Beni Culturali.

Lo stesso voleva fare Frau, in 4.700 battute in cui osa affermare che Sangiuliano dovrebbe dimettersi e che in caso contrario toccherebbe alla premier pretenderlo, ma con la convinzione che anche questa volta la sostituzione premierebbe la solita cerchia ristretta di fedeli nei secoli ai vertici ma molto meno alla missione di dare dignità a una cultura di destra cui sembra sfuggire persino la grammatica del decoro dell’istituzione. Ma tutto questo non si può scrivere neppure su un giornale che si chiama L’Opinione delle Liberta. Frau, 61 anni, manda il suo pezzo ma gli torna indietro con un messaggio del caporedattore che gli dice che non c’è niente da fare, sulla vicenda Sangiuliano il direttore ha posto il veto. Del resto la prima pagina quel giorno (giovedì 5 settembre), il giorno delle grandi rivelazioni della non-consulente amante, non cita né Sangiuliano né la consigliera-amante, titolando sul “Pugno di ferro di Giorgia” che cui la Meloni arringa l’esecutivo (“Stiamo facendo la storia. E questo non prevede né pause né soste, ma tanto meno può consentire errori e passi falsi”).

“Sono rimasto malissimo – racconta Frau – perché in cinque anni e centinaia di articoli mai uno prima era stato bloccato, mi hanno detto che non vogliono più niente che tratti Sangiuliano. E’ la stessa cosa che succede nei giornaloni di area che lo difendono ad ogni costo o passano sotto silenzio gli aspetti realmente deteriori della vicenda che sono politici e culturali. Ma questo episodio dimostra che succede anche in una piccola realtà, dove si pensa ci siano margini per il dissenso costruttivo e il pensiero critico”. Così l’articolo finisce sul Fatto.it.

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Nella foto in alto | Il direttore dell’Opinione delle libertà Andrea Mancia

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