Ha ottenuto la licenza ma non può produrlo perché in Italia è vietato
Carne sintetica, insetti commestibili, Nutella vegana e adesso il vino dealcolizzato: il panorama alimentare è in costante trasformazione. Alcuni lo definiscono progresso, altri invece sono più scettici. Tra i primi c’è sicuramente l’imprenditore Massimo Lovisolo, di So.vi.pi, che ha cominciato a produrre il vino dealcolizzato. O meglio, ha ottenuto la licenza ma non può produrlo perché in Italia è vietato. A spiegare tutto nei dettagli è stato Lovisolo stesso, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. L’azienda di Lovisolo si trova a Calamandrana, in provincia di Asti.
“In Italia è vietato produrlo, anche se nel resto dell’Europa lo fanno. – ha detto Lovisolo – Io ho ottenuto la licenza, come azienda alimentare, per avviare la sperimentazione. E svolgo questa attività nel perimetro di legge. Appena ci sarà il via libera alla normativa sarò il primo a produrlo. Sono pronto. Intanto dobbiamo distinguere il prodotto dealcolizzato da quello senza alcol. Il primo viene estratto dal vino. Il secondo nasce senza alcol. Una distinzione non da poco che sta caratterizzando un mercato in forte crescita in cui tanti Paesi stanno investendo, tranne noi, patria del vino“.
Quindi Lovisolo ha aggiunto: “Per la produzione, le nostre imprese si rivolgono all’estero. È una follia. Ed è costosissimo, perché vale almeno il doppio. Le aziende inviano il vino in impianti in Spagna, ad esempio, dove viene estratto l’alcol e poi re-importano il prodotto”.
L’imprenditore ha spiegato che la necessità di avviare questa sperimentazione deriva principalmente da una riflessione: oggi si consuma meno vino rispetto al passato. “Mi auguro che si possa tornare a dialogare al più presto (con il Governo. Il ministro Lollobrigida che aveva detto: “Non chiamiamolo vino”, ndr). – ha continuato – In tutte le categorie alimentari c’è innovazione, pensiamo ai prodotti veg, non si capisce perché nel vino sia più complesso. Tanto più in questo momento. I consumi di vini non torneranno più quelli di prima. Il vino dealcolizzato non è la risposta a tutti i problemi ma è un mercato nuovo e in crescita. Non so davvero di chi sia la colpa. Ma i giovani di oggi bevono meno vino, preferiscono altre bevande. Spesso non alcoliche. Questo è un fatto. Sfruttare le nostre uve per soddisfare una domanda non mi pare un crimine. Forse lo è lasciare il mercato in mano a operatori esteri mentre tante aziende italiane si avvitano nella crisi”.
Il Sole 24 Ore ne parlava già qualche mese fa, scrivendo: “I consumi di vino tra i giovani sono in calo significativo sia considerando i Millennials che la Gen Z, in controtendenza invece con l’uso di alcolici che risulta essere in costante crescita proprio tra le nuove generazioni. In sostanza si beve sempre meno vino per accompagnare i pasti a casa, mentre si consuma sempre più nei locali, ristoranti ed enoteche con mescita; questo ovviamente incide sui volumi. Quindi, da un lato va bene l’allargamento della fetta di mercato e dell’interesse che questo produce tra giovani e giovanissimi, ma al contempo bisogna segnalare un calo quantitativo generalizzato“.
Tornando al titolare di So.vi.pi, al Corriere ha, infine, parlato della tradizione del Made in Italy. Che fine farebbe? “La mia azienda produce vino conto-terzi da quattro generazioni. Una volta si usavano le damigiane, ora le bottiglie. Io produco anche bevande in lattina. Non tutti sono d’accordo, qualcuno sostiene che così si distrugge il sapore, ma il mercato lo chiede. E non solo vino ma anche gin tonic. Senza innovazione non andiamo da nessuna parte”, ha assicurato. Infine ha fatto una precisazione: “La normativa italiana impedisce alle imprese vitivinicole di smaltire l’alcol estratto dal vino. O meglio non dice come farlo, quindi non si può fare. Un’azienda alimentare invece, se ha la licenza, può farlo. Anche se poi mi è vietato produrre vino dealcolizzato”. Da qui la scelta di trasformare l’azienda da vitivinicola in alimentare.