Un altro storico incontro è avvenuto ad Ankara. Nella capitale turca questa settimana è arrivato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi per incontrare il suo omologo Recep Tayyip Erdogan, dopo il riavvicinamento di questi ultimi mesi che ha posto fine a 11 anni di forte ostilità. Durante la visita del dittatore egiziano sono stati firmati 17 accordi in campo commerciale, energetico e culturale e si è discusso dei conflitti a Gaza e in Libia.

La “mia visita di oggi e prima ancora quella del presidente Erdogan al Cairo riflette la volontà comune di avviare una nuova fase di amicizia e cooperazione tra Egitto e Turchia, sulla base del loro ruolo cardine nel contesto regionale e internazionale, in modo da soddisfare le aspirazioni dei nostri due popoli fratelli”. Sono queste le parole pronunciate dal presidente dell’Egitto, al Sisi, non appena atterrato in Turchia per la prima volta da quando fu “eletto” in consultazioni senza rivali nel 2014. Dopo una decade di accuse reciproche a causa di posizioni divergenti sull’islam politico, incarnato dalla Fratellanza Musulmana – di cui Erdogan è il maggior esponente con l’emiro del Qatar– e su questioni geopolitiche regionali, in primis Gaza e Libia che ha visto finora il “faraone” e il “sultano” su fronti opposti, gli interessi di entrambi sembrano essersi riallineati.

Tutto ciò sta avvenendo nonostante Il Cairo rimanga , almeno ufficialmente, nemico dei fratelli musulmani, ovvero di coloro che avevano di fatto promosso e vinto la rivoluzione contro l’allora presidente Hosni Mubarak, di cui Sisi era fidato capo di Stato maggiore. Senza tralasciare la retorica anti-israeliana, Erdogan ha affermato che “Egitto e Turchia intendono portare avanti le loro relazioni multidimensionali con un approccio vantaggioso per entrambe le parti”, ribadendo l’obiettivo comune di “incrementare il volume del commercio bilaterale a 15 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni” . Erdogan ha inoltre affermato che “i contributi di Turchia ed Egitto alla pace e alla stabilità regionale sono di importanza vitale” e ha sottolineato che i due Paesi mantengono “una posizione comune sulla questione palestinese”. Il presidente turco ha criticato duramente l’atteggiamento di Israele, affermando che “il comportamento irremovibile e ostile di Israele continua” e che “è necessario abbandonare politiche ambigue per evitare che Israele trascini ulteriormente la nostra regione nella tensione”.

Negli anni successivi al 2013, esattamente nel 2021, il disgelo fra il Qatar, principale punto di riferimento dell’islam politico, e il blocco di Paesi del Golfo, formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, insieme all’Egitto aveva già aperto nuovi spiragli nelle relazioni fra Il Cairo e Ankara. È già passata alla storia la foto della stretta di mano fra Al Sisi ed Erdogan a novembre 2022 in Qatar, in occasione dei mondiali di calcio, proprio sotto lo sguardo compiaciuto dell’emiro Tamim al Thani. Inoltre, un contesto economico internazionale su cui hanno pesato negli anni la pandemia Covid-19, ma anche la guerra in Ucraina nel 2022 e nell’ultimo anno gli attacchi ai mercantili in transito lungo il Canale di Suez, preziosa fonte di introiti per l’Egitto, ha gravato sulle casse di entrambi i Paesi. Le difficoltà economiche di Egitto e Turchia hanno portato i facoltosi Paesi del Golfo a investire e iniettare liquidità nei due Paesi, la cui stabilità è strategica sia nel Mediterraneo che per l’intero Medio Oriente.

Dopo circa un decennio di tensioni politico-diplomatiche seguite agli eventi del 2013 in Egitto, con la destituzione del presidente egiziano Mohamed Morsi, esponente principale della Fratellanza che aveva vinto le elezioni presidenziali dopo le dimissioni e l’arresto di Mubarak, a partire dal 2021 Al Sisi ed Erdogan hanno cercato di riallacciare le relazioni diplomatiche. “Il riavvicinamento è stato favorito anche dal riassetto delle relazioni tra il blocco sunnita guidato dalle monarchie del Golfo, a cui afferisce anche l’Egitto, e il Qatar, affiancato dalla Turchia, a seguito della dichiarazione di Al Ula del gennaio 2021”, ha spiegato in un’intervista ad Agenzia Nova Roberta La Fortezza, esperta di Medio Oriente.

La dichiarazione di Al Ula del 2021 ha sancito la fine del blocco diplomatico economico imposto da Arabia Saudita, Emirati, Bahrein ed Egitto al Qatar, accusato di sostenere e fomentare l’islam politico, quindi la Fratellanza musulmana, nella regione. Fortezza ricorda che “il motivo principale che ha portato alla rottura del 2013 è ovviamente la relazione, di opposta natura, che la leadership egiziana e quella turca hanno con la Fratellanza musulmana, estremamente conflittuale nel caso di Al Sisi, afferente a spinte politiche molto simili nel caso di Erdogan e del suo partito, l’Akp”.

Non è stata, ovviamente, soltanto la differente posizione rispetto all’islam politico a porre su direttrici divergenti i due Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La differente impostazione adottata nei confronti dell’islam politico, tuttavia, spiega solo in parte la tensione dei rapporti tra le due leadership: bisogna infatti tenere in considerazione anche il desiderio di entrambe le élite al potere, Al Sisi ed Erdogan, di giocare il ruolo di attori protagonisti nelle vicende della regione mediterranea. Soprattutto nell’ultimo triennio, Il Cairo e Ankara hanno ravvisato, ciascuna dal proprio canto, un crescente interesse per un riavvicinamento politico-diplomatico, resosi possibile nel quadro determinatosi appunto a seguito della dichiarazione di Al Ula, ma anche del successivo riassetto degli equilibri nella regione, favorito almeno dal febbraio del 2022 anche da una maggiore concentrazione dell’Occidente sul fronte europeo e da una rinnovata presenza diplomatica globale della Turchia, divenuta centrale nelle dinamiche negoziali tra Ucraina e Russia.

Egitto e Turchia condividono, direttamente o indirettamente, un ruolo nei numerosi fascicoli regionali e internazionali “dall’enorme potenziale destabilizzante”, tra cui Libia, Siria, gestione dei giacimenti di gas off -shore nel Mediterraneo e, di conseguenza, la variazione dei confini marittimi delle Zone economiche esclusive nel Mediterraneo orientale, nel Sudan, in Somalia e correlatamente anche la questione della Grande diga della rinascita etiope (Gerd). L’esplosione della guerra nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre inoltre ha rappresentato per Ankara e Il Cairo un ulteriore fattore determinante per cercare un dialogo più costruttivo e per delineare un rapporto politicamente meno conflittuale. L’Egitto, primo Paese arabo ad aver avviato le relazioni diplomatiche con Israele nel 1979, ha storicamente, ma anche geograficamente, un ruolo di intermediazione tra lo Stato ebraico e i palestinesi. Non a caso sin dall’attacco terroristico del movimento islamista Hamas del 7 ottobre 2023 in Israele e alla conseguente operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, Il Cairo ha svolto un ruolo di mediazione di primo piano, al fianco di Stati Uniti e Qatar.

Nell’ultimo decennio circa, la Libia è uno dei dossier su cui la rivalità Egitto-Turchia ha avuto l’impatto maggiore poiché ha contribuito a fomentare la già storica e tradizionale divisione tra l’est (la Cirenaica) e l’ovest (la Tripolitania). Il sostegno che la Turchia ha dato al Governo di unità nazionale (Gun), guidato da Abdulhamid Dabaiba, con sede a Tripoli è stato fondamentale per mantenerlo al potere anche nei momenti più critici, quando cioè le forze afferenti al governo/parlamento di Tobruk hanno cercato di avanzare verso Tripoli per prendere il controllo delle istituzioni nazionali. Sull’altro versante, l’Egitto ha sostenuto militarmente e politicamente il generale della Cirenaica Haftar, soprattutto in ragione del suo ruolo nella lotta alle forze maggiormente islamiste presenti a Tripoli.

Il riavvicinamento in realtà è partito dalla Turchia, come si può dedurre anche dal fatto che il primo a fare visita all’ex rivale è stato Erdogan due mesi fa, già allora intenzionato a entrare nel gruppo dei Brics plus, di cui il Cairo è membro. La richiesta ufficiale di Ankara è stata inoltrata pochi giorni fa e se venisse accettata creerebbe un precedente geopolitico dalle potenzialità incendiarie per le sorti dell’Occidente, poichè sarebbe la prima volta di un paese membro della NATO nel blocco ( Brics) che è già un’alternativa a quello a guida statunitense unito e difeso dalla Alleanza Atlantica.

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