Mostra del Cinema di Venezia

Broken Rage, l’ultimo film di Takeshi Kitano? Gangster movie e la sua parodia. Ecco le due recensioni

La recensione che state per leggere di Broken Rage, l’ultimo film di Takeshi Kitano, chiusura Fuori Concorso del Festival di Venezia, verrà divisa in due parti esatte, dieci righe ciascuna su due registri differenti (oppure no?) di scrittura, proprio come il film stesso. Sessantadue minuti di durata (grazie Takeshi) di cui 31 gangster movie e […]

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La recensione che state per leggere di Broken Rage, l’ultimo film di Takeshi Kitano, chiusura Fuori Concorso del Festival di Venezia, verrà divisa in due parti esatte, dieci righe ciascuna su due registri differenti (oppure no?) di scrittura, proprio come il film stesso. Sessantadue minuti di durata (grazie Takeshi) di cui 31 gangster movie e i successivi 31 la sua parodia. Sinossi del primo blocco: il killer Mr. Mouse (Beat Takeshi) raggiunge un bar dove riceve puntualmente una busta con istruzioni per il suo prossimo omicidio su commissione. Prima tocca a un giovane malavitoso in un locale da ballo, poi di nuovo trafila al bar, e ancora l’uccisione più complessa di un boss yakuza dentro una palestra/sauna. Mouse è si è un po’ vecchiotto e claudicante ma il lavoro è sempre pulito e rigoroso. Nuova scena a recuperare una busta nel bar ma questa volta la polizia lo abbranca e lo arresta per poi servirsene come infiltrato dentro una gang di violenti trafficanti di droga. Mouse fa valere i galloni di anzianità, meritandosi la fiducia dei capi, fino all’arresto finale dei criminali.

Sinossi del secondo blocco: identica nella consequenzialità dei fatti e delle inquadrature, ma modulata sui toni spinti della farsa. Mouse inciampa ovunque, ha il fiatone, la sedia su cui siede si rompe di continuo, gli omicidi faticano a compiersi perché il protagonista prende in mano la pistola dalla parte sbagliata oppure uccide proprio una persona sbagliata. Inoltre la seconda parte si imbottisce di molti riferimenti alla cultura giapponese (la maschera da lottatore che indossa per mettersi sotto copertura tra i gangster), ai giochi di parola attorno al nome Mouse (controcampi con Kitano baffetti e orecchie da topo), all’inserimento di sequenze surreali come il ballo della sedia.

Recensione numero uno.

Quel genio di Takeshi Kitano. Venezia in delirio per il 77enne regista giapponese. Fin dai titoli di testa di Broken Rage in sala Darsena il pubblico (perlopiù under 40) è tutto applausi e risate. Il cinema e il suo doppio. Lo stesso segno si trasforma e si legge in modo contrario (la pistola rovesciata, tenuta dal manico e poi dalla canna). Un bignami divertissement che è poi basato su un formalismo consolidato su cui Beat Takeshi, popolare comico televisivo fracassone in Giappone fin dagli anni ‘80, ricama nei suoi film da oltre trent’anni. Il gangster spietato che non è mai ciò che sembra, malinconico e ironico riflesso di se stesso. Più godardiano degli epigoni godardiani, più sperimentale degli sperimentalisti più accaniti, nella sua apparente semplicità Kitano riformula la saga minima e seria del killer in una parodia irrefrenabile che elude ogni limite di logica narrativa, perfino il senso stesso della messa in scena. Insomma, “a Tom” (Cruise) gli fa veramente le scarpe.

Recensione numero due.

Ridateci Lino Banfi o Buster Keaton. Ad ogni cinefilo la sua esterofilia. Come possa essere nato il mito di Kitano in Italia, e nei festival di cinema di mezzo mondo, rimane un mistero. Basta vedere Broken Rage, e a quell’entusiasmo pavloviano delle folle festivaliere, per capire quanti danni ha provocato il dogma dell’autorialità. Kitano ai minimi termini, insomma, e anche al minimo impegno produttivo e creativo. La solita minestrina annacquata del killer silente e spietato, poi la farsaccia dello stesso soggetto (sai che novità) zeppa di trovatine sciocche e pigre, rintracciabili perlopiù in qualche recita scolastica o parrocchiale. Se già il meccanismo reiterato della doppia lettura del segno spinto di genere (lo spietato killer yakuza dall’animo dolente e giocoso) aveva subito scossoni evidenti in Outrage&co, qui deraglia esanime, corpo morto di un cinema che aveva trovato un equilibrio compositivo, di meraviglia e di visione, ai tempi di Hana-bi e L’estate di Kikujiro.