di Sonia Surico
Sembrerebbe la trama di un film distopico e invece è solo la nuda realtà. Secondo la lista stilata da Climate X, sarebbero cinquanta i Patrimoni dell’umanità Unesco che rischiano di scomparire entro i prossimi 25 anni a causa del cambiamento climatico.
Tra i condannati a morte spiccano alcuni dei capolavori artistici e naturali più iconici mai esistiti, dai parchi costierici ai monasteri buddhisti, fino alle misteriose caverne preistoriche, che da millenni custodiscono splendidi esempi di arte rupestre. Alcune delle più grandi opere architettoniche contemporanee ben presto dovranno confrontarsi con fenomeni meteorologici estremi, che rischiano di ridurre in macerie le vestigia della nostra civiltà.
Una minaccia globale: la memoria dell’umanità è a rischio
Non è per nulla facile ipotizzare un mondo senza il Tempio del Sole di Konarak o senza l’Opera House di Sydney, così come sembra assurdo immaginare una realtà orfana delle pitture rupestri della Grotta di Pont d’Arc in Francia. Eppure, questo è lo scenario apocalittico che si prospetta all’orizzonte per la nostra umanità, se continuiamo a trascurare i numerosi moniti che gli scienziati di tutto il mondo stanno tentando di trasmetterci.
Climate X, l’agenzia che analizza le conseguenze del cambiamento climatico, ha condotto una delle indagini più approfondite mai eseguite, che comprende tutti i 1.223 siti Unesco presenti nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità. Gli analisti hanno utilizzato una piattaforma all’avanguardia chiamata Spectra, in grado di quantificare ben 16 diversi pericoli climatici che potrebbero presentarsi nei prossimi 100 anni, dal surriscaldamento globale estremo alle inondazioni, passando per i cicloni fino all’erosone costiera. Secondo i risultati ottenuti, ben 50 di questi rischiano di essere definitivamente rasi al suolo entro i prossimi decenni, se non saranno adottate misure urgenti di protezione e adattamento. L’ennesimo allarme è stato lanciato. Stiamo distruggendo il nostro pianeta e con esso il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.
I tesori culturali minacciati dalle emissioni di gas serra
Tra le vittime sacrificali di questa inarrestabile corsa verso l’abisso spicca un autentico capolavoro di ingegneria idraulica risalente al XI secolo, il Subak di Bali, in Indonesia, annoverato tra i sistemi di irrigazione agricola più innovativi dell’epoca, e il Parco Nazionale Kakadu in Australia, un patrimonio inestimabile di biodiversità che rischia di trasformarsi in un arido deserto a causa degli incendi sempre più frequenti e delle inondazioni.
E poi c’è l’Emporium of the World di Quanzhou, in Cina, simbolo indelebile dell’importanza commerciale che rivestiva la città durante le dinastie Song e Yuan, all’epoca annoverata tra le più floride ed influenti potenze marittime del Paese. Secondo i dati, infatti, l’innalzamento del livello del mare potrebbe comprometterne gravemente l’esistenza.
Tra i siti sotto stretta osservazione ci sono il sistema montuoso svizzero dello Jungfrau-Aletsch, il complesso dei monasteri buddhisti coreani e l’Olympic National Park nello Stato di Washington. Il Regno Unito, invece, deve fare i conti con uno scenario ancora più inquietante. Le violenti frane, le numerose tempeste e le inondazioni costiere rischiano di compromettere drasticamente quattro siti Unesco, il Forth Bridge in Scozia, l’Isola di Saint Kilda nell’arcipelago delle Ebridi, il villaggio settecentesco di New Lanark e lo Stadley Royal Park nello Yorkshire.
E l’Italia?
Per il momento il nostro Paese sembra rimasto immune alla lista nera stilata da Climate X. Un risultato tanto incerto quanto provvisorio. Infatti, non c’è da tirare alcun sospiro di sollievo poiché la crisi climatica coinvolge tutti noi. È veramente questo il futuro che ci meritiamo? Vogliamo davvero essere ricordati come la generazione che ha permesso tutto questo? Millenni di civiltà ci hanno insegnato che la storia non perdona, e il clima nemmeno.