Ambiente & Veleni

Peste suina in Lombardia: “Il fattore umano accelera il contagio e sfonda le barriere della biosicurezza. La situazione è piuttosto grave

Per combattere (e vincere) la peste suina africana la priorità assoluta è capire le cause, le dinamiche e i comportamenti umani che rendono più probabile la diffusione della malattia. Mentre la procura di Pavia apre un’inchiesta sulla nuova ondata di peste suina che ha provocato finora 13 focolai in altrettanti allevamenti della provincia, l’ultimo ad […]

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Per combattere (e vincere) la peste suina africana la priorità assoluta è capire le cause, le dinamiche e i comportamenti umani che rendono più probabile la diffusione della malattia. Mentre la procura di Pavia apre un’inchiesta sulla nuova ondata di peste suina che ha provocato finora 13 focolai in altrettanti allevamenti della provincia, l’ultimo ad Albuzzano e che vede indagati un allevatore e un veterinario, i Nas lavorano sul caso delle carcasse di decine di maiali sotterrate in un campo destinato allo stoccaggio del letame. Sono stati ritrovati nei pressi di un allevamento a Castelgerundo, nel Lodigiano. E anche se le prime analisi condotte non hanno riscontrato la presenza del virus nelle carcasse, il titolare dell’allevamento è stato segnalato all’autorità giudiziaria, in quanto lo smaltimento richiede una procedura precisa che non può essere eseguita in modo autonomo e arbitrario. Sono solo alcuni dei casi su cui si è cercato e si cerca di far luce. Nel complesso, di fatto, tra le province di Novara, Pavia, Piacenza e Lodi i focolai sono 24, di cui 18 in Lombardia, cinque in Piemonte e uno in Emilia Romagna. Per capire quale sia la situazione e cosa si sappia sulle cause dell’estensione della peste suina africana, ilfattoquotidiano.it ha contattato Francesco Feliziani, dirigente del Centro di referenza nazionale pesti suine presso l’Istituto Zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche, che già nel 2023 aveva raccontato della diffusione del virus e di cosa fosse andato storto durante l’applicazione della strategia proposta nel 2022 all’Ue. Feliziani, che ha partecipato in questi giorni al secondo webinar organizzato dall’Istituto Zooprofilattico Lombardia-Emilia Romagna in collaborazione con il ministro della Salute, parla di una situazione “piuttosto grave”.

L’esperto: “Attenzione al fattore umano” – “Le cause di diffusione di infezione – racconta – sono riconducibili essenzialmente al contatto diretto tra animali malati e animali sani e, in alternativa, all’opera del cosiddetto ‘fattore umano’”. Quest’ultimo è particolarmente importante: “Mentre il contatto diretto tra animali malati e sani comporta una diffusione lenta – aggiunge – il fattore umano è in grado di accelerare questo processo e di trasportare l’infezione a distanze molto più importanti”. Non solo: “È anche capace di oltrepassare le barriere di biosicurezza che difendono gli allevamenti domestici”. Come sottolineato durante il webinar, non si può escludere che gli insetti possano trasmettere la Psa, perché si contaminano a ridosso di animali infetti “ma il loro raggio d’azione è in gran parte molto limitato”. Potrebbero quindi avere un ruolo di trasmissione “intra-allevamento, ma il contatto diretto con animali malati e il trasporto legato al fattore umano sono molto più efficaci”. Ergo: “I fattori di rischio più importanti rimangono le attività umane e falle (anche occasionali) nella biosicurezza”. Di fatto, come ricostruito nei giorni scorsi da Mario Chiari, direttore generale Welfare di Regione Lombardia e sub commissario Psa, “la falla è stata riscontrata nell’allevamento di Vernate (Milano), ufficialmente quarto focolaio, ma probabilmente il primo a essere realmente contagiato”. Poi il virus si è diffuso tra Milano, Pavia e Lodi. L’avanzare della malattia sarebbe stato alimentato dai ritardi nel segnalare gli episodi. Dall’indagine dei Nas, infatti, sono state riscontrate una ventina di carcasse (tutte positive al virus) sotterrate nel retro dell’allevamento, dove sarebbero state pressoché assenti le misure di biosicurezza. Lo stesso allevatore, come raccontato da Chiari a Il Giorno, “ha prestato opera anche in altri allevamenti”, mentre “il veterinario aziendale, nell’inconsapevolezza, si è mosso sul territorio”, generando almeno altri 8 focolai. L’inchiesta in corso farà luce sull’intera vicenda e su eventuali altre responsabilità. Solo in provincia di Pavia sono stati abbattuti 56.780 maiali. Da questi dati si deduce l’importanza di prevenire e vietare comportamenti a rischio, obiettivo principale dell’ordinanza firmata lo scorso 29 agosto dal commissario per l’emergenza, Giovanni Filippini.

Il fattore caccia – Che, però, fa i conti con gli effetti della strategia adottata finora. “L’epidemia della peste suina è partita in Italia continentale nel gennaio del 2022 nell’Appennino a confine tra Liguria e Piemonte”, ricostruisce Feliziani. Successivamente la malattia si è diffusa nei comuni limitrofi, espandendosi soprattutto verso Est e a Nord nel 2023 e arrivando a interessare anche Lombardia ed Emilia Romagna. Nel 2024, il virus ha subito un’ulteriore espansione, soprattutto a Est e, più recentemente, verso la Toscana. “Inizialmente i casi sono stati limitati alla popolazione di suini selvatici, ossia i cinghiali – continua – ma come era prevedibile anche la filiera del domestico alla fine è stata coinvolta. Nonostante gli sforzi, nei territori coinvolti dall’epidemia non si è riusciti a fermare l’espansione dell’area infetta”. E così siamo all’attualità: ormai le dimensioni dell’area colpita sono corrispondono a due o tre volte quella delle prime aree di restrizione e questo complica le strategie di eradicazione. Come analizzato dall’esperto durante il webinar, se nell’area in cui la peste suina ha avuto origine nel 2022 la situazione si è stabilizzata (“Dobbiamo studiare bene cosa sia accaduto”), ci sono aree importanti di espansione del virus (che coinvolge sia domestici che selvatici) in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. “Abbiamo poi un’area con una circolazione virale attiva nei selvatici con il pericolo di espansione – spiega – verso la dorsale appenninica, in particolare, in direzione della Toscana”. Per quanto riguarda la strategia esistono delle linee guida emanate dalla Commissione Europea. Secondo Feliziani, “la caccia è uno strumento che deve essere utilizzato all’interno di una strategia ampia ed articolata e non può essere, invece, una soluzione da applicare in maniera indiscriminata. Naturalmente la densità elevata degli animali selvatici può essere un fattore di moltiplicazione del rischio di persistenza e diffusione del virus – aggiunge – È però ormai dimostrato che il depopolamento deve essere condotto in forma organizzata e programmata, all’interno di una strategia di contenimento della specie”.

La strategia da adottare ora – Date le informazioni che si hanno sulla diffusione del virus, almeno del Nord Italia, parte fondamentale della battaglia contro la peste suina bisogna combatterla negli allevamenti. “L’ultima ordinanza del nuovo commissario straordinario – commenta Feliziani – è una misura di straordinaria importanza per fronteggiare l’emergenza e che riporta l’attenzione specificatamente nelle misure di biosicurezza, fondamentali per isolare le aziende di suini e consentire di innalzare una barriera difensiva dalla contaminazione dell’ambiente che purtroppo nelle nostre aree infette è decisamente importante”. Nell’ordinanza, di fatto, sono previsti misure di biosicurezza e nuovi divieti di movimentazione degli animali e di accesso agli allevamenti situati nelle zone di restrizione I, II e III di Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. In queste ore, i più ottimisti ripetono che, in generale, l’epidemia di peste suina tende a ‘correre’ maggiormente nei mesi estivi, anche perché in questo periodo i lavori agricoli sono più intensi e impegnativi e, quindi, si possono creare situazioni di falla nella biosicurezza. L’esperto ricorda che l’eradicazione della peste suina africana è una guerra lunga e onerosa: “L’esperienza che abbiamo coltivato in Sardegna ci dimostra che è possibile vincere solo applicando misure molto restrittive e onerose, spesso addirittura non condivise dalla popolazione che le subisce. In questo momento – conclude – occorre fare squadra e applicare quelle misure che gli esperti individuano come fondamentali, prima per arrestare l’estensione dell’area infetta nel selvatico e poi per provvedere all’eradicazione della malattia”.