Un’attività “eruttiva e tettonica recente” che sta “progressivamente allontanando la Calabria dalla Sicilia”. L’ultimo studio del Cnr accende un nuovo campanello d’allarme sulla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. L’area studiata dai ricercatori italiani è quella al largo dell’Etna verso Sud: siamo dunque distanti dallo Stretto, ma si tratta pur sempre nelle “zone limitrofe” ai luoghi dove sorgerà la Grande Opera, menzionate nelle raccomandazioni del comitato scientifico. Lo scorso marzo, infatti, il comitato nominato dalla Stretto di Messina Spa ha approvato il progetto del Ponte, chiedendo però degli approfondimenti: tra questi lo studio geologico dei “fondali dello Stretto e limitrofi”. E nel fondale a Sud dell’area l’attività osservata svela il movimento distensivo, ovvero l’allontanamento delle due coste: “Considerata la spinta dall’Africa, in questa zona ci si aspetterebbero faglie compressive, invece abbiamo osservato attività lungo faglie distensive, ovvero un movimento di allontanamento tra i blocchi crostali”, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Alina Polonia, ricercatrice dell’Istituto di Scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar).
Si tratta di una campagna oceanografica, chiamata “Sirene”, ccondotta a bordo di “Gaia Blu”, una nave del Cnr dotata di strumenti tecnologici avanzati che hanno permesso quindi un’osservazione inedita. Gli studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche sono andati ad analizzare il fondale che fiancheggia l’Etna fino a sud per aumentare le conoscenze sui processi geologici. La ricerca ha svelato che ci sono più faglie di quanto già noto e una maggiore attività vulcanica recente. I campionamenti fatti a quelle profondità verranno adesso analizzati aggiungendo un tassello in più sui fondali che sono stati oggetto delle raccomandazioni fatte dal comitato scientifico presieduto da Alberto Pertininzi. Il comitato aveva dato parere positivo alla relazione di aggiornamento del progetto del Ponte sullo Stretto ma chiedendo al contempo degli approfondimenti: “Fatte salve le considerazioni, osservazioni e raccomandazioni”, è questa la formula con la quale il comitato ha messo il sigillo sul progetto. Sono in tutto 68 i rilievi avanzati dai tecnici. Tra questi c’è anche la “geologia dei fondali marini”, così scrive il comitato nella relazione, chiedendo una “integrazione degli studi più recenti sui fondali marini dello Stretto di Messina e delle zone limitrofe, considerando recenti studi su fagliazione, depositi e forme possibili indicatori di attività tettonica recente”.
La zona limitrofa a sud è stata da poco osservata dal Cnr e quel che è emerso non sembra rassicurante in vista della costruzione della Grande Opera: “Utilizzando tecnologie geofisiche all’avanguardia disponibili sulla nave è stato, infatti, identificato un campo di rilievi sottomarini allineati lungo profonde spaccature del fondale dello Ionio meridionale, dove un sistema di faglie sta progressivamente allontanando la Calabria dalla Sicilia, facendo sprofondare lentamente la crosta terrestre al largo dello Stretto”.
Un sistema di faglie attive sul quale emergono eruzioni vulcanologiche di fango, un materiale da cui i ricercatori hanno ricavato dei campioni che potrebbero svelare la natura dell’oceano più antico della Terra, in altre zone non raggiungibile perché sovrastato da strati di sedimenti. Nello Ionio siciliano potrebbe essere invece più in superficie: “Se fosse così, potremmo ricostruire la natura della Tetide, l’oceano più antico della Terra”, spiega Polonia. Una zona che è “praticamente unica al mondo”, sottolinea la ricercatrice del Cnr. Un’area di certo molto complessa per faglie ed eruzioni, e ancora più complessa si prospetta quella che riguarda lo Stretto: “Spero che a breve potremo muoverci più a Nord per approfondire i movimenti di quell’area”, continua Polonia.