Società

Artisti di strada genovesi costretti a usare un’app per esibirsi: s’è rincarnato il generale Graziani?

“Equità, diversità e inclusione” sarà anche una frase di moda, ma non è una frase fatta. Equità significa trattare tutti in modo equo. La diversità riguarda una molteplicità di diversità come età, genere, colore della pelle… E inclusione si riferisce a quando tutti si sentano accettati e benvenuti. Nel loro insieme, queste tre parole creano un valore fondamentale per il benessere della società. Ed è un valore importante del Busking, l’esercizio dell’arte di strada.

Alla fine di agosto, la moltitudine dei turisti, i foresti che hanno invaso Genova nonostante la calura, ha apprezzato la rumorosa giornata di protesta battezzata Buskers per Genova. Una serie di flash mob ha allietato il centro storico, senza alcun riscontro pratico da parte di chi ne ha già deciso il controllo. Subito dopo, il primo settembre, la regolamentazione partorita dall’assessorato Commercio e Tradizioni è partita abbastanza male, anche se agevolata dall’apposita, moderna App comunale. La decisione di regolamentare rigidamente queste esibizioni non ha incontrato il favore di chi offre la propria arte a fronte di un’elemosina del tutto facoltativa.

Che il puro spirito del generale Rodolfo Graziani si sia reincarnato? E, se proprio doveva farlo, non poteva farlo altrove, rispettando l’indelebile eredità della Resistenza che si respira in questa città? Da viceré d’Etiopia, nonché maresciallo d’Italia e marchese di Neghelli, l’eroe che aveva sconfitto Ras Destà e Wehib Pashià con il concreto aiuto dell’iprite (gas mostarda) ordinò che tutti i cantastorie, indovini e stregoni della capitale, Addis Abeba, fossero arrestati e passati per le armi. Era “persuaso della necessità di stroncare radicalmente questa mala pianta” e lo scrisse di suo pugno in una lettera al ministro delle Colonie, come raccontò Alessandro Lessona, il più longevo dei gerarchi fascisti. E concludeva: “A tutt’oggi ne sono stati rastrellati ed eliminati settanta”. Dopo, chissà.

In Italia e in Europa, iniziative così radicali sono del tutto anacronistiche, anche se la speranza europea di delegare agli africani il controllo della migrazione di altri africani lascia qualche perplessità sul metodo con cui lo fanno. Qualcosa si inizia però a escogitare se la stretta regolamentazione delle esibizioni richiama, pur alla lontana, i bei tempi dell’impero, quando non avevano ancora inventato il talent show né Spotify, questa sì la vera minaccia del busking. E l’incubo del Grande Fratello agitava ancora le notti di George Orwell, giacché pubblicò il suo romanzo—1984—solo dopo la guerra, nel 1949.

In un esperimento del 2007, battezzato “l’anonimo busker” dal Washington Post, il grande violinista Joshua Bell suonò in incognito per un’oretta con il suo Stradivari del 1713 nella stazione della metro di L’Enfant Plaza. Fu riconosciuto da un solo passante su più di mille che transitarono ignari davanti a lui, raccogliendo la miseria di soli 32 dollari e 17 centesimi. Non ha davvero senso l’idea di integrare l’iscrizione al registro degli artisti di strada—previsto a Roma e in molte altre città europee—con un fantomatico bollino di garanzia, come aveva fantasticato proprio Genova anni fa per marchiare musicanti, mimi e giocolieri da strada.

Ho sempre invidiato il coraggio dei busker che suonano in pubblico senza reti di protezione, nessun playback né Auto-Tune. Il nostro duo ultra-dilettante, tempo fa, si era attrezzato con i giusti ferri del mestiere: un diffusore a batteria da 25 watt, il cajon da percuotere, comode sedute per anziani. E avevamo arruolato anche il barboncino di un’amica, indispensabile a intenerire i passanti più attenti, giacché la nostra musica potrebbe indurre a gesti inconsulti. Tutto rimase una pura fantasticheria. Avremo adesso il coraggio di farlo davvero, diffondendo la nostra impareggiabile creazione sul tema: Il Clandestino?