Il 24 agosto scorso in Burkina Faso è avvenuto il massacro di 400 persone, da parte degli estremisti islamici che aderiscono alla sigla Jnim. Si tratta di una quelle carneficine che non trovano grandi titoli sui media internazionali, eppure sono indicative su come il Sahel sia in preda alle scorribande degli islamisti. La macabra beffa per gli abitanti di Barsalogho, è stata che le trincee scavate su ordine dell’esercito a scopo difensivo, sono diventate le loro fosse comuni. Il governo è stato molto “cauto” nell’ammettere che era avvenuto l’eccidio, il più eclatante da quando il gruppo di terroristi è apparso nel 2015: il 25 agosto, i membri della giunta hanno ammesso in televisione che militari e civili erano stati uccisi, ma senza fornire cifre. I particolari sono stati invece forniti dai parenti delle vittime; per paura di ritorsioni, le famiglie hann parlato attraverso la sigla Justice Collective for Barsalogho (CJB), rivolgendo critiche alle autorità; secondo la loro denuncia, la giunta “mette il bavaglio a coloro che osano parlare della tragedia”.
Le famiglie fanno riferimento a due episodi, che non possono essere appurati in modo indipendente: il tentativo di rapimento di un volontario della difesa di Barsalogho, testimone degli avvenimenti – sequestro sventato – e di un attivista della vicina città di Kaya, che è scomparso. I due erano legati dalla diffusione di registrazioni sul massacro. A confermare quanto avvenuto è intervenuto Bellingcat, il sito investigativo che compara immagini satellitari ed altro materiale in accordo con gli eventi. Bellingcat ha confermato che tre filmati pubblicati dagli stessi terroristi sono genuini, e si riferiscono al massacro: un quarto video invece riguarda una sparatoria in Mali, che non ha nulla a che fare con la strage.
Il massacro di Barsalogho mette a nudo i limiti della giunta di Ibrahim Traore che nel 2022 aveva estromesso il rivale Paul-Henri Damiba. Entrambi i colpi di Stato hanno avuto come terreno di coltura l’esasperazione per l’incapacità dei governi di porre un freno ai gruppi armati islamisti. Il Burkina, come Mali e Niger, ha inteso tagliare i ponti con la Francia e i suoi alleati – compresa l’Italia – impegnati nell’operazione Barkane, e si è rivolta alla Russia, che ha spedito i volontari della Wagner come addestratori e forza d’urto verso i terroristi islamici. La strage di Barsalogho farebbe pensare che neppure gli esperti combattenti della Wagner riescano a porre un baluardo alle tattiche del Jnim.
Questo gruppo armato, legato ad al Qaeda, ha radici profonde; il Dipartimento di Stato Usa il 5 settembre 2018 ha pubblicato un documento ufficiale, riferendosi alle origini dei jihadisti in Mali sotto l’ombrello del Jnim: “Da quando è stata costituita, dal marzo 2017 ha rivendicato la responsabilità di numerosi attacchi e rapimenti, come il raid nel giugno dello stesso anno in un resort frequentato da occidentali al di fuori di Bamako”. Il suo capo è l’emiro Iyad Ag Ghaly; nel 2010 era stato espulso dall’Arabia Saudita per i suoi legami con al Qaeda. A dare la benedizione a Jnim, fu proprio il terrorista egiziano al-Zawahiri, ex braccio destro di Osama bin Laden.
Il gruppo armato ha una peculiarità: è in grado di mettere insieme varie fazioni, tra cui i tuareg di Ansar Dine, i fulani di Katiba Macina (ex Macina Liberation Front), nuclei del Magreb, berberi e al-Mourabitoun; una alleanza che permette ad al Qaeda di presentarsi come un movimento pan-islamico non vincolato da rivalità tribali. Con la partenza dei francesi, l’Occidente sembra aver lasciato al proprio destino il Sahel, che ora è diventato una grana – ma anche una risorsa per le sue ricchezze – di Mosca. La Reuters cita il parere di Constantin Gouvy, ricercatore del Clingendael Institute: “Anche con le misure di protezione contro i colpi di Stato adottate da Traore, il suo regime non potrà sopportare un numero così elevato di imbarazzanti eventi di massa come questo. Esercito e popolazione cercheranno un nuovo cambio di leadership”. Resta da constatare che tutti gli occhi sono su Gaza, ma questi massacri non smuovono più di tanto le coscienze di governi ed attivisti: e con l’arrivo dei russi acclamati dalle giunte militari africane, l’Occidente ormai ha tirato i remi in barca.