di Alessio Andreoli

Da diverso tempo sto ponendo la mia attenzione, confermando il mio stato di “umarell”, ai cantieri qua attorno nella provincia e nelle campagne del Veronese. Inizialmente mi limitavo a valutare lo stato dei lavori, il loro avanzamento e la corretta esecuzione. Da quando però il generale Vannacci ha sollevato la questione italianità ho modificato la mia osservazione spostando l’attenzione sui tratti somatici degli operai.

Con sorpresa rilevo che la maggioranza degli operai, certe volte anche tutti, sono immigrati. Li vedo abbarbicati sulle impalcature, a terra a preparare la calce, sul carrello elevatore a spostare pedane di materiali più disparati, a scaricare manualmente i camion. Insomma a fare tutti i lavori necessari per il buon andamento del cantiere. Mi son detto: ma è mai possibile che praticamente non ci sia neanche un italiano che fa questi lavori? Forse riguarda solo l’edilizia o la manutenzione delle strade; perciò ho voluto osservare anche altre attività e siccome questa è una zona a vocazione agricola, quando vado in giro guardo i lavoratori nei campi e scopro che anche lì praticamente ci sono solo immigrati. Li vedo lavorare senza sosta a tutte le ore anche sotto il sole cocente in piena estate.

Sempre più sorpreso da questa inaspettata scoperta cerco altre attività e osservo, ad esempio gli addetti alla raccolta dei rifiuti. Niente da fare, anche lì la maggior parte sono immigrati. Come direbbe qualcuno, la domanda nasce spontanea: ”Se non ci fossero gli immigrati chi farebbe questi umili lavori?”. Non lo voglio chiedere a Matteo Salvini o a Giorgia Meloni perché sappiamo già come la pensano, lo chiedo a quei cittadini che vedono l’immigrazione come una concorrenza per i posti di lavoro, a quei cittadini che temono gli venga sottratta qualche opportunità lavorativa.

Ma dove sono gli italiani, giovani, adulti o vecchi che siano, disposti a fare i manovali, a raccogliere frutta o verdura nei campi, a svuotare i bidoni dell’umido, del secco, del verde, del vetro e della plastica? Come pensiamo in futuro di sopperire eventualmente ad una mancanza di questa manodopera meno qualificata e meno qualificante? La nostra italianità non passa solo attraverso Giulio Cesare, Leonardo da Vinci o Cristoforo Colombo, ma passa soprattutto attraverso l’esperienza dello svolgimento di lavori “umili” come quelli sopraccitati.

Non dimentichiamo che questi lavori poi non hanno meno dignità di altri e che indubbiamente fanno parte della nostra identità culturale, fanno parte della storia dei nostri nonni, delle nostre nonne, dei nostri padri e delle nostre madri. Non ci sarebbero “underdog” senza l’umiltà di questi lavori. Mi direte: ”E la criminalità degli immigrati?”. Certo, concordo che può essere un problema che si inasprisce con l’immigrazione, ma è un discorso molto diverso che si può risolvere o ridurre con una migliore e più ampia integrazione, non certo criminalizzando tutti gli stranieri provenienti dai paesi africani.

Se avessimo successo nel complesso compito di riuscire a far integrare, prima di tutto attraverso la scuola, ma anche attraverso i lavori che noi non facciamo più, un maggior numero di immigrati, meno o quasi nulli saranno gli episodi di criminalità riconducibili agli immigrati stessi. Ovviamente l’acquisizione della cittadinanza italiana non può non essere parte integrante di un buon processo di integrazione. Mi sembra un ragionamento dalla logica ferrea e inoppugnabile, ma allora perché sembra che non riusciamo a comprenderlo?

Capisco – anche se non giustifico e condanno – la strumentalizzazione dell’immigrazione da parte di molti politici per un po’ di voti in più, ma non comprendo i miei concittadini. Vi chiedo cortesemente di soffermarvi qualche momento, quando potete, e scambiare quattro chiacchiere con gli immigrati che incontrate. Forse potreste scoprire cose inaspettate e rimanere molto sorpresi da ciò che vi possono raccontare.

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