La curva come la mafia. Anzi, meglio della mafia è capace di creare un blocco sociale trasversale attorno a sé, coinvolgendo, fianco a fianco, manager e magazzinieri, laureandi e ragazzotti inoccupati della periferia, camerieri e ristoratori, guardie e ladri, integerrimi e trasgressivi. Sinistri e destri. In molti entrano nel mood stadio come se giocassero un videogioco al termine di una settimana intensa.

Il fascino del gruppo coeso che canta, gioisce e si dispera e si difende dai nemici, facendo quadrato, attira, piace a molti, anche a bravi ragazzi e ragazze. Ad alcuni, invece, fa venire l’acquolina in bocca. E tutto avviene nello stadio. Un mondo a parte dove le curve acquistano identità e si sovrappongono sempre di più a quella della squadra, i cui capitani, dopo pochi anni tradiscono o scompaiono, i cui allenatori diventano i primi capri espiatori e i cui presidenti, nell’era dei fondi immobiliari, anche cinesi, non esistono.
Ora si ringrazia la curva tenendosi per mano. Ci si scusa su Instagram. Ci si inchina chiedendo perdono.

Allo stadio, si capisce. Tutto avviene lì dentro o li intorno. Su questo grande palcoscenico, avulso dalla realtà. In cui si può tirare fuori il peggio o il meglio di sé.
E’ per quello che la curva seduce la ‘ndrangheta. E’ per quello che la curva è potente. Non ci si può inventare leader della curva. Capo ultras. Non c’è democrazia. Ci sono trattative tra gruppi. Lo stesso Marco Ferdico, portavoce della Nord di San Siro lo dice: “La Curva è come un’azienda… serve leadership per guidare così tante persone, …chi ha fatto un percorso ‘dalla strada’ è avvantaggiato”.

Ora è proprio il vertice della curva che fa fatica: celebrare Bellocco, la vittima, come ha fatto Ferdico senza dire nulla su Beretta. Oppure celebrare il vero capo. Siamo convinti che la base non abbia dubbi. Per questo ci sarà un periodo di silenzio e il derby aiuterà a cercare di mettere la polvere sotto il tappeto.

Intanto la storia di Beretta richiama quella di Fabrizio Piscitelli, che sembra quasi identica a quella di Vittorio Boiocchi. Un potere criminale diverso. Indigeno, che in curva e attorno alla curva, così come intorno alla stadio, viene avvicinato dai grandi gruppi associativi anche stranieri. Interessi economici e criminali dove il tifo e la passione per la squadra scompaiono.

Attenzione però a non romanzarlo come per la mala, nascondendo bene, dietro le parole, un pizzico di orgoglio e di passione sentimentale. C’è intimidazione, omertà, la forza del gruppo e del vincolo che lo tiene unito, il culto della forza fisica, della vendetta spietata. C’è spaccio, estorsione. La storia di Andrea Beretta rischia di diventare tale. Il ragazzone di Pioltello che ha sfidato la ‘ndrangheta. Speriamo, invece, scelga di collaborare. Togliendo il velo romantico del gangster che non cede. Ci auguriamo che decida di cambiare vita.

Quel carattere, quel modo di fare che lo hanno fatto diventare capo ultrà, possono essere utilizzati anche per fare del bene.

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