Intervista a Riccardo Ladini, autore con Cecilia Biancalana del libro "Emergenza lenta. La questione climatica in Italia tra politica, media e società”. "Anche le scienze sociali se ne occupano poco, come se fosse una questione solo scientifica".
La crisi climatica? In Italia è ancora considerata dalla politica, dai media e dall’opinione pubblica “come un’emergenza ma non troppo”. La questione è fortemente sotto-rappresentata, marginalizzata da crisi solo in apparenza più gravi, dalla questione energetica alla pandemia. In più, anche le scienze sociali se ne occupano poco, considerandola una questione unicamente scientifica. Sono le tesi di un libro – dal titolo, appunto, “Emergenza lenta. La questione climatica in Italia tra politica, media e società”, appena uscito per Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, scritto da Cecilia Biancalana e Riccardo Ladini, rispettivamente ricercatrice in Scienza politica all’Università di Torino e ricercatore in Sociologia dei fenomeni politici presso l’università di Milano. Un saggio che analizza l’anomalia del nostro paese, caratterizzato, “dall’inattivismo climatico, ovvero dalla strategia di minimizzare o spostare la responsabilità del cambiamento climatico su altri come Cina o India, enfatizzare i costi della transizione energetica o dichiarare che ‘ormai è troppo tardi’”.
In quasi tutti i paesi – risponde Ladini – esiste una differenza tra gli atteggiamenti generali rispetto al cambiamento climatico – al fatto cioè che si crede che esista e che sia preoccupante – e il supporto alle politiche di mitigazione. Insomma, il consenso si traduce poco in azione, una tendenza molto diffusa e studiata in letteratura. Su questo fronte l’Italia è allineata, quando in poche parole si chiede all’individuo di pagare per la transizione l’appoggio tende a diminuire. Però è chiaro che il ruolo delle élite e delle istituzioni in questo senso è cruciale: se sanno da un lato comunicare l’efficacia di determinate politiche, mentre dall’altra introducono misure di compensazione è più facile ottenere l’assenso dei cittadini. E su questo purtroppo la politica italiana è indietro.
Ci sono partiti, come la Lega, praticamente negazionisti.
Rispetto al negazionismo, in realtà nei Paesi anglosassoni e negli Stati Uniti c’è un livello di polarizzazione molto maggiore ed esiste anche un negazionismo più spiccato. Da noi invece chi non crede nelle cause antropiche del cambiamento climatico o pensa che sia un processo naturale, resta di fatto una minoranza. Però questo vale per il negazionismo in senso stretto, poi magari si pensa che non servano politiche per contrastare la crisi climatica o si parla di “transizione ideologica”. C’è, insomma, una sorta di contraddizione in termini, non si nega ma non si fa nulla. Una contraddizione che viene evidenziata anche dall’analisi dei programma politici che abbiamo fatto.
Che cosa emerge?
Noi abbiamo analizzato i programmi elettorali dal 2008 al 2022 e non abbiamo trovato riferimenti espliciti al negazionismo. Tuttavia, il tema ambientale resta poco presente, anche tra i partiti di sinistra, con la eccezione del Movimento 5Stelle che tuttavia, rispetto alla fase iniziale in cui era caratterizzato da una forte impronta ecologica, è molto cambiato. L’assenza dell’ambiente, ad esempio, si vede dal fatto che nei programmi ci sono pochissimi riferimenti a politiche ambientali, il che indica non un negazionismo, ma una scarsa disponibilità delle diverse forze politiche a voler affrontare in maniera efficace la questione climatica.
In altri Paesi tutti i partiti, anche quelli di destra, ha ormai capito che la crisi climatica distruggerò l’economia e che occorre intervenire.
Osservando la campagna elettorale delle recenti elezioni europee la questione climatica mi sembra entrata maggiormente nel dibattito italiano, ma al tempo stesso abbiamo notato che si sta estremizzando, ovvero c’è una crescente politicizzazione, il che è al tempo stesso positivo e negativo (su questo tema verte l’ultimo numero della rivista Italian Political Science). Quando due schieramenti si polarizzano su un tema saliente, è evidente che è molto difficile trovare un compromesso per l’introduzione di politiche che possano andare in direzione della mitigazione. Tuttavia, è vero che in un contesto polarizzato chi è a favore di politiche climatiche sarà molto più motivato a introdurle. E sappiamo che quando si introducono non si torna indietro.
L’altro problema è senz’altro il fatto che i media in Italia parlano ancora poco e male del tema. Quanta responsabilità hanno?
Io penso che ci sia una compartecipazione di responsabilità tra partiti e media. I media seguono un po’ le principali posizioni dei partiti, anche se potrebbero indipendentemente portare il tema al centro, renderlo cruciale. Insomma, è un circolo vizioso. Di sicuro, se pensiamo al contesto italiano, facciamo fatica a pensare a delle proposte sulle questione climatica che siano state avanzate e discusse concretamente, anche sui media. In questo quadro, infine, c’è un’ulteriore mancanza.
Quale?
La scarsità di studi sulla percezione del cambiamento climatico nell’opinione pubblica italiana, sulla sua rappresentazione nei media e nella sfera politica. Sono convinto che le scienze politiche e sociali dovrebbero acquisire una maggiore centralità e presidiare gli studi sul cambiamento climatico. Comprendere le credenze, le opinioni e i comportamenti delle persone rispetto al cambiamento climatico, così come comprendere come i media lo rappresentano, è fondamentale per sviluppare strategie di comunicazione efficaci nel profondo coinvolgimento dei cittadini, nonché per contrastare la disinformazione.