Gli Offspring, che per i due che non lo sanno sono una punk rock band californiana, non possono certo essere annoverati tra i primi riferimenti riguardo la scrittura di testi profondi e capaci di durare nel tempo. Eppure nel 1997 uscirono con un pezzo che sembrava la perfetta descrizione del mondo dei social, solo scritto dieci anni prima della diffusione dei social a livello planetario. Il brano si intitolava Cool to Hate (È Figo Odiare) e elencava tutti i bersagli di un leone da tastiera in pectore, il cui astio derivava dalla mera constatazione che “essere positivi è da sfigati”. Nello sport italiano la deriva odierna è arrivata a travalicare gli steccati dei campanili e delle rivalità. I “nemici” di sempre, sportivamente parlando, non sono più sufficienti. La ferocia della minoranza rumorosa e violenta si abbatte su tutti, non risparmiando nemmeno i talenti di casa. Lasciando da parte quel maelstrom tossico e mefitico che è diventato il calcio, in tempi recenti abbiamo avuto i casi di Paola Egonu e Myriam Sylla, di Jannik Sinner e, freschissimo, di Andrea Kimi Antonelli.
Il punto di non ritorno è rappresentato proprio da quanto accaduto attorno al giovane pilota bolognese, che dal 2025 sostituirà Lewis Hamilton in Mercedes diventando il terzo driver più precoce di sempre, dopo Max Verstappen e Lance Stroll, a correre in Formula 1. Perché nel suo caso non esistono nemmeno quelle pseudo–motivazioni, ambigue e inquietanti, derivanti dai pregiudizi di cui è ancora è impregnato il contesto culturale italiano, facilmente immaginabili nei casi Egonu–Sylla, ma emersi con prepotenza, seppure con sfumature diverse, con Sinner. Antonelli invece non lascia appigli. Eppure, l’ennesimo talento italiano di livello top (almeno potenzialmente, nel suo caso) viene osteggiato e criticato con una cattiveria da lasciare senza parole. La sua “colpa”? Essere bravo.
A Monza nelle prove libere Antonelli sfrecciava da Lesmo 7 km/h più veloce di Verstappen e alla Ascari aveva un tempo parziale migliore dell’altra Mercedes in pista, quella di Hamilton. Poi l’uscita alla parabolica. Un errore, come in carriera è capitato a tutti i piloti, anche ai big. Apriti cielo. Sul web si è rovesciato di tutto. E non si parla di legittime opinioni sulla scelta della Mercedes (per alcuni addetti ai lavori è stato troppo precoce affidargli subito il sedile di Hammer, per altri il talento va premiato senza remore) ma di commenti cattivi, tossici, livorosi. L’Italia è un mondo capovolto. Dopo tanta attesa per un pilota italiano in F1 (l’ultimo fu Antonio Giovinazzi nel 2021, la vittoria più recente è datata 19 marzo 2006 con Giancarlo Fisichella, mentre il titolo iridato manca addirittura dal 1953, vincitore Alberto Ascari), l’approdo di Antonelli in un team di primo piano viene vissuto con fastidio da una fetta di (presunti) appassionati. Cosa mai accaduta in Olanda durante l’ascesa di Max Verstappen, che all’inizio di incidenti ne ha collezionati diversi. Eppure, aveva alle spalle l’intero paese, pronto a sostenerlo senza se e senza ma. Per non parlare degli inglesi, sempre molto affezionati ai loro (numerosi) piloti di talento.
Viene spontaneo chiedersi perché da noi odiare sia così figo. A ilfattoquotidiano.it hanno provato a rispondere due addetti ai lavori: Mario Donnini, autore di 31 libri dedicati agli sport motoristici, nonché giornalista di lungo corso, e Mario Cutolo, che lavora nel team Trident, fresco del secondo mondiale piloti consecutivo di Formula 3, vinto quest’anno dall’italiano Leonardo Fornaroli. “Purtroppo, già a livello di Formula 3”, esordisce Cutolo, “si sono lette cose imbarazzanti. Ci sono due piloti italiani in lotta per il campionato all’ultimo a gara e di cosa si parla? Di favoritismi, raccomandazioni. Si criticano ragazzi che effettuano un sorpasso in una parabolica a 200 all’ora su una parte sporca del tracciato. Non esistono motivazioni per giustificare certe uscite, se non la pura ignoranza. Antonelli non è Stroll, non ha alle spalle una famiglia che può permettersi di comprargli un team. Il padre è uno che si sporca le mani con i motori: ingegnere, tecnico, meccanico. Antonelli ha sempre stravinto, e sottolineo questa parola, in quasi tutte le categorie. È questo che l’ha portato in F1, non la sua famiglia. Perché economicamente non se lo sarebbe mai potuto permettere”.
Donnini divide la questione su due livelli. “Il primo è generale e riguarda tutti gli sportivi professionisti, generalmente percepiti come privilegiati. In un paese in cronica difficoltà economica come il nostro, sono un bersaglio facile per ragioni di fama e di portafoglio, e poco importa se questa ricchezza venga generata grazie al loro talento. Non ti identifichi in un vincente se sei un perdente. Anzi, non vedi l’ora che cada nella polvere. Nel caso dei piloti, però, c’è un carico da novanta che si chiama fattore rischio. Le corse sono pericolose. Chi finisce contro le barriere merita compostezza e rispetto. Ovviamente ciò non significa che per gli altro sportivi debba valere tutto, ma un pilota dovrebbe avere l’immunità istituzionale contro i bullismi”.
Il secondo livello riguarda direttamente i motori, la Formula 1 e il tifo. Il nocciolo della questione si chiama Ferrari. Se fosse stato ingaggiato dalla Rossa, Antonelli avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? “Sicuramente no”, dice Donnini. “Nel bene come nel male, Ferrari significa protezione mediatica, affettiva e societaria. Antonelli per ora non ha protezioni, perché non si è ancora creato uno zoccolo duro di amici che vadano oltre la famiglia. Lui è il pilota dei tedeschi, e sembra importare a pochi il digiuno sportivo enorme dei piloti italiani nel mondiale di F1. Si diceva di Verstappen e di come l’Olanda lo abbia sempre coccolato. È vero, loro non hanno una tradizione motoristica, ma noi sotto un certo punto di vista siamo messi peggio, perché un Verstappen chi l’ha mai visto negli ultimi decenni? Adesso arriva un giovane bravissimo, velocissimo, con tanto potenziale, ma non va bene lo stesso”. Cutolo aggiunge che “se la Ferrari adotta una politica piloti più orientata al marketing ingaggiando un quarantenne, è ovvio chi i giovani guardino da altre parti per trovare sbocchi. Antonelli poi è entrato nell’Academy Mercedes già ai tempi dei kart. Ci sarà un motivo se Toto Wolff, uno dei team principal più vincenti nella storia della F1, abbia offerto un contratto a un ragazzino, o no?”.
Negli ultimi anni si è parlato di deriva “calcistica” del tifo in Formula 1, con alcuni episodi più da stadio che da autodromo. “In realtà”, afferma Donnini, “c’è una lunga linea di intolleranza che parte degli anni ’80 per arrivare ai giorni nostri. A Imola nel 1983 ricordo i gesti dell’ombrello della gente alle Acque Minerali all’indirizzo di Riccardo Patrese, uscito di pista con la sua Brabham. Preferivano il ferrarista Patrick Tambay, che infatti vinse la gara. Siamo molto esterofili su questo: vincano tutti, basta che guidino una Ferrari”. Un discorso inverso a quello delle moto, dove invece Valentino Rossi era il pilota di tutti, indipendentemente dalla scuderia per la quale correva. “Su Rossi aggiungo che cadde sia al primo vero test con una 500 due tempi, sia al suo debutto nella top class in Sudafrica a Welkom, ma nessuno gli dette addosso. Nemmeno chi tifava per altri tricolori di alto livello. Mi chiedo perché con Antonelli dovrebbe essere diverso”.