Tunisia verso le presidenziali. In Tunisia sono stato tante volte negli anni tra la rivoluzione del 2011 e il 2019, negli ultimi anni non ci sono andato più. Le testimonianze che raccolgo però sono ancora di prima mano cioè non soltanto ragionamenti sulle notizie e i commenti internazionali, ma impressioni ed esperienze in presa diretta. Cosa si sta vivendo, una sorta di invisibile regime? Chiedo al mio interlocutore che vive soprattutto nel Sud tunisino e che ha sempre avuto uno sguardo politico sociale molto preciso. “Mica tanto invisibile, ormai. È sotto gli occhi di tutti che il Presidente Saied sta facendo eliminare dalla corsa ogni possibile concorrente alle presidenziali. Lo fa attraverso l’Istanza per le Elezioni, nominata da lui, o attraverso la magistratura, ormai apertamente condizionata sempre da lui”. Ma – chiedo – non era comunque certo di vincerle?”. Sì, per assenza di oppositori forti, ma evidentemente preferisce essere strasicuro. La partecipazione al voto è incredibilmente bassa. Vedremo alle presidenziali, ma per le elezioni degli enti locali non ha superato il 12 per cento”.

Il mio interlocutore – chiamiamolo B. – mi fa presente che certo non si è ancora arrivati alla iconizzazione come era per Ben Ali prima della rivoluzione del 2011… ma poco ci manca. Il quotidiano più “autorevole”, la Presse, ai tempi di Ben Ali metteva ogni giorno in prima pagina la foto del Presidente con la notizia di cosa aveva fatto ieri e adesso fa lo stesso con Saied. E’ stata una contro-rivoluzione, o meglio la affermazione di un regime: senza militari nelle strade, senza rilevanti scontri di piazza, un processo graduale (accelerato dal cosiddetto “colpo di Stato” dello scioglimento del Parlamento nel 2021), accompagnato da motivazioni sullo stato di necessità, sulla lotta alla corruzione, poi anche contro l'”invasione” dei migranti subsahariani.

Saied non ha un vero e proprio partito, il suo partito è al momento lo Stato, ha saputo impadronirsene. E non ci sono proteste, tra i giovani non circola l’idea di fare una nuova rivoluzione? Per il momento – mi conferma B., ma lo dicono tutti – prevale un misto di rassegnazione, delusione o anche disperazione, perché alla restrizione delle libertà non corrisponde benessere economico, tutt’altro. Tra i giovani domina un desiderio forte di emigrare, che però è sempre più difficile da realizzare. Esempio: dalla sola zona di Tataouine si calcola che negli anni attorno al 2020 siano emigrati più di 10mila giovani, un decimo della popolazione. Sorprendentemente per noi, non tanto per mare quanto per la rotta balcanica perché un tunisino può volare a Istanbul e poi da lì prova a entrare nella Ue.

Altri miei interlocutori tunisini tacciono eloquentemente. Seguo i loro profili Facebook, parlano di clima (ha fatto molto caldo) riscoprono bellezze architettoniche o paesaggistiche etc ma di politico non dicono più nulla. Un po’ di turismo europeo ha ripreso ad affluire nel paese perché si è esaurito il pregiudizio sulla sicurezza/terrorismo. Personalmente, allo stato attuale delle cose, forse una volta andrò a dare un saluto alla Tunisia, ma avendo vissuto le speranze dell’immediato periodo post-rivoluzionario non ho più voglia di andarci, provo solo tristezza.

Le altre testimonianze dirette di cui dispongo sono quelle dei racconti dei ragazzi africani che negli ultimi anni sono arrivati qui via mare passando dalla Tunisia (perché respinti dall’Algeria, altro discorso da approfondire). Non si tratta di campi di tortura sistematica come in Libia ma negli ultimi tempi il vento razzista alimentato da Saied si è fatto sentire. Impossibilità di trovare lavoro, mancanza totale di accoglienza anche minima, gente che gli urla contro e… non ho voluto chiedere altro. Eppure ci sono stati degli anni in cui la Tunisia, la capacità che sembrava dimostrare di sviluppare pluralismo e dialogo, sono state un primato nel mondo. Per poco.

Il vento cambierà ancora, certamente. Ma quando?

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