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“Il documentario di Prince non deve uscire, troppe inesattezze e sensazionalismo”: gli eredi dell’artista bloccano il progetto colossale di Netflix

Il regista consegna nove ore di girato, ma il documentario si rivela un boomerang in quanto "avrebbe violato gli accordi contrattuali"

Il documentario di Netflix su Prince non deve uscire. Deve averla combinata grossa il regista Ezra Edelman, in passato autore di “O.J: Made in America”, nei quattro anni passati a mettersi insieme i pezzi di un documentario in sei parti sul cantante di Minneapolis morto nel 2016 a soli 57 anni.

Come hanno riportato Variety e Puck (oramai sito molto valido in merito a tematiche sull’audiovisivo) i rappresentati del patrimonio del defunto Prince hanno bloccato tutto. Troppe “drammatiche” inesattezze fattuali e rappresentazioni “sensazionalistiche” di alcuni fatti della sua vita. Edelman aveva addirittura consegnato una versione finale da nove ore diventato poi un boomerang, in quanto avrebbe violato gli accordi contrattuali. Violazione che avrebbe comportato la non autorizzazione per l’uso dei diritti musicali nel documentario.

Insomma, un film su Prince senza una nota di un suo brano che uno da ascoltare. In base a un contratto del 2018 tra Netflix e Comerica Bank – esecutore provvisorio del patrimonio di Prince – Edelman aveva sostituito la regista Ava DuVernay e aveva avuto accesso illimitato agli archivi del cantante.

Su Puck viene segnalato che il prodotto finale sia stato mostrato ad entrambe le fazioni in causa e che le inesattezze subito rilevate dai rappresentanti di Comerica Bank non riguardino però “rivelazioni sull’uso di droghe o questioni sessuali”. Il regista si sarebbe comunque difeso dalle accuse, sostenendo che è difficile dire la verità su qualcuno visto che parlando con le persone che lo conoscevano ognuna sosteneva una cosa diversa su di lui: “Come puoi dire la verità su qualcuno che non ha mai detto la verità su se stesso?”.

Insomma, il problema sembra un altro: gli aventi a diritto – scrivono Puck e Variety – temono che il documentario non mostrasse una versione di Prince “sufficientemente positiva”.