Non paga della figuraccia rimediata inviando una mail per proporre l’acquisto di una Maserati a prezzi scontati anche agli operai in cassa integrazione, Stellantis è riuscita a partorire – a ventiquattr’ore di distanza, immaginiamo quindi dopo un importante brain storming – una piccata risposta degna di padroni ottocenteschi. Il gruppo si dice “sconcertato” perché l’iniziativa interna è stata fatta filtrare all’esterno, si sostiene, per “alimentare un sentimento di ostilità” che costituirebbe un danno “prima di tutto per le persone” che, udite-udite, sono “orgogliose di costruire auto che rappresentano l’eccellenza italiana nel mondo”.
Sorvolando sull’accusa di una “rappresentazione falsa e strumentale” della vicenda (sarebbe falsa la mail, per caso?) e sulla rivendicazione di far utilizzare le Maserati ai propri dipendenti in occasioni speciali come i matrimoni (un’elemosina, o giù di lì) e la volontà di “estendere la possibilità di avere vetture Maserati in prova anche in altre occasioni”, Stellantis spiega che sono stati gli stessi dipendenti “a chiedere in più occasioni, anche in gruppi di lavoro, sconti speciali per amici o parenti che si erano rivolti a loro per una vettura”.
Un’iniziativa lodevole, insomma, un modo per andare incontro ai desideri delle lavoratrici e dei lavoratori. Pare di capire che l’azienda sia attenta alle richieste degli operai, gli stessi che continuano a domandare una ripresa dei volumi e l’assegnazione certa di nuovi modelli per gli esangui stabilimenti italiani, dove gli ammortizzatori sociali sono una triste consuetudine e le auto prodotte sono state il 25,2% in meno nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023, con picchi fino all’83% a Mirafiori. Su questo, invece, una risposta rapida ed efficace non s’è vista. Eppure Stellantis continua a chiedere a “tutte le parti” di lavorare con “spirito costruttivo” per affrontare i problemi del settore automotive.
Agli operai – 11.500 in meno negli ultimi dieci anni – che stanno pagando la crisi, non si sa cos’altro si possa chiedere se non di continuare a stringere la cinghia e vedersi accreditare stipendi decurtati da cassa integrazione e contratto di solidarietà. Il governo, seppur tra lacune e tempistiche rivedibili, ha finora messo in campo due dei tre punti che l’ad Carlos Tavares aveva richiesto per aumentare la produzione in Italia (stop alla normativa sugli Euro 7 e incentivi mirati). All’appello manca invece la risposta dell’azienda: una strategia, qualcosa che non siano parole gettate al vento, la minaccia di “vittime” (copyright Tavares) in caso di arrivo di un competitor cinese in Italia o un’altra robusta dose di vittimismo. Quello, insieme alla sfacciataggine degli altissimi manager, è l’unica cosa che dentro Stellantis non sembra conoscere crisi.