È morto “El chino”, cosi chiamato per i suoi tratti orientali, l’autocrate che ha governato il Perù con pugno di ferro dal 1990 al 2000, commettendo crimini contro l’umanità e favorendo la creazione della più grande rete di corruzione nella storia peruviana: Alberto Fujimori.

Questo caudillo violento e senza scrupoli, che incredibilmente oggi molti piangono in Perù, si è arreso ad una lunga malattia (il cancro) dopo essere stato scarcerato per ragioni umanitarie nel 2023. I massacri di “Barrios Altos” e de “La Cantuta” gli valsero nel 2009, tra gli altri numerosi e atroci crimini, la condanna a 25 anni di carcere. Uccisioni (almeno 25 tra il 1991 e il 1992) eseguite dal gruppo paramilitare “Colina” negli anni più duri dello scontro tra la Stato peruviano e il gruppo guerrigliero/terrorista di Sendero Luminoso (che iniziò le sue operazioni nel 1980), dove giocò un ruolo di primo piano anche il suo assessore (oggi in carcere) Vladimiro Montesinos.

Uno dei casi più terribili per i quali è stato condannato Fujimori riguarda la sterilizzazione forzata di migliaia di donne, sottoposte a legatura delle tube, nel contesto di un massivo piano di lotta alla povertà. Un piano che (per quanto assurdo possa sembrare) vedeva come uno dei suoi pilastri impedire che donne delle zone rurali del paese (in gran parte indigene) e senza risorse economiche potessero mettere al mondo dei figli. Il periodo in questione va dal 1996 al 2001, nel quale dentro il Programma Nazionale per la Salute Riproduttiva e la Pianificazione Familiare, promosso da Fujimori, vennero sterilizzate in modo forzato 272.028 donne e 22.004 uomini, secondo i dati accessibili oggi.

Fujimori fu presidente costituzionale del Perù dal 28 luglio 1990, quando vinse le elezioni in modo inaspettato battendo anche il premio Nobel Mario Vargas Llosa che si candidava con il Fronte Democratico, fino all’“autogolpe” del 5 aprile 1992, conosciuto anche come Fujimorazo. In quel modo, in figlio dell’emigrazione giapponese assurgeva a dittatore moderno, concentrando su di sé tutti i poteri e iniziando un periodo di neoliberismo e corruzione senza freni. Durante il periodo del suo governo verrà varata una nuova costituzione (nel 1993 e ancora in vigore) e ci saranno due comizi elettorali che lo vedranno uscire vincente, anche se con denunce e indizi di frode elettorale (1995 e 2000).

L’ultimo governo del “Fujimorato” durò solo 4 mesi, dal 28 luglio al 21 novembre, quando Fujimori con un fax dal Giappone (dove si era rifugiato) presentava le sue dimissioni al Congresso: dimissioni che vennero respinte iniziando un processo di destituzione per incapacità morale. Alberto Fujimori però non voleva rinunciare alla politica e mirava a tornare in Perù per recuperare il suo status. Il primo passo in questo senso lo dette nel 2005, quando viaggiò da Tokyo a Santiago del Cile, dove però venne arrestato dai carabineros cileni in compimento di una sollecitudine di detenzione da parte dell’ambasciata peruviana.

Il processo di estradizione durò ben due anni, periodo nel quale Fujimori giocò la carta della cittadinanza giapponese per provare ad essere eletto senatore in Giappone tra le file del gruppo politico di estrema destra Kokumin Shintō (“Nuovo Partito del Popolo). La strategia però non dette i suoi frutti e dopo aver perso i comizi elettorali del 29 luglio 2007, che gli sarebbero valsi l’immunità parlamentare giapponese, il Cile realizzò il suo processo di estradizione il 22 settembre dello stesso anno.

La giustizia peruviana a quel punto mise al palo colui che per molti ancora oggi è “il salvatore del Perù” per aver eliminato la minaccia comunista del gruppo capeggiato da Abimael Guzman, il pericolo numero uno del Perù, arrestato proprio durante la presidenza di Fujimori il 12 settembre 1992 con la Operazione Victoria. Fujimori è un uomo che ha diviso il Perù e che dividerà i libri di storia: un despota e un criminale o un uomo illuminato che seppe far risorgere il Perù delle ceneri della violenza? Il mio giudizio in questo senso è chiaro e si allinea con le sentenze della Corte Interamericana dei Diritti Umani che si oppose alla sua liberazione, decretata con un polemico indulto nel 2017 dall’allora presidente Pedro Pablo Kuczynski.

Da notare una coincidenza curiosa, di quelle che la Storia con la S maiuscola a volte riserva per chi osserva con attenzione. I due arcinemici, protagonisti degli anni più duri del Perù e responsabili di massacri, omicidi, attentati, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni e torture, sono morti entrambi l’11 settembre all’età di 86 anni. Abimael Guzmán è morto l’11 settembre 2021 nel centro di detenzione di massima sicurezza della base navale di Callao (dove stava scontando l’ergastolo), mentre Alberto Fujimori è morto da uomo libero l’11 settembre 2024 nella casa di sua figlia Keiko (quartiere di San Borja a Lima).

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