Cronaca

Delitto del trapano a Genova, da Ignoto 1 al gioco d’azzardo: tutte le tracce che portano al nome del presunto killer (30 anni dopo)

C’è chi non ha dimenticato la morte di una persona avvenuta 29 anni prima. Una fine orribile e violenta di una donna che tutti credevano un’infermiera e invece faceva la prostituta, uccisa a colpi di trapano nello stanzino in cui riceveva i clienti. Qualcuno, a quasi tre decenni di distanza, continua a non far mancar […]

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C’è chi non ha dimenticato la morte di una persona avvenuta 29 anni prima. Una fine orribile e violenta di una donna che tutti credevano un’infermiera e invece faceva la prostituta, uccisa a colpi di trapano nello stanzino in cui riceveva i clienti. Qualcuno, a quasi tre decenni di distanza, continua a non far mancar mai dei fiori freschi sulla sua tomba, al cimitero monumentale di Staglieno. Un dettaglio singolare, forse insignificante. Potrebbe essere opera di un amico, un amante, un parente. Ma nella storia delle indagini è capitato anche di assistere a qualche confessione su una tomba. E gli investigatori, che non vogliono scartare nessuna strada, provano anche questa: cimici e telecamere sul luogo di sepoltura, con la speranza di trovare un assassino.

TELECAMERE AL CIMITERO, LE AMICHE, I TESTIMONI

Quella del cimitero è solo una delle piste tentate dagli inquirenti che, a partire dal 2022, si trovano a ricominciare lo studio di un rompicapo lungo trent’anni. Luigia Borrelli viene trovata morta il 6 settembre 1995 in un locale di vico Indoratori, nel centro storico di Genova. La scena del delitto viene descritta dalla Procura come una situazione di “overkilling”, ovvero un omicidio con una violenza “ridondante”. Dopo aver fumato con il suo assassino la vittima viene picchiata a pugni, sbattuta a terra, colpita con un posacenere e tramortita con uno sgabello. A questo punto, l’aggressore infierisce sul corpo con un trapano, che secondo gli inquirenti era acceso. Poi scappa con l’incasso di Antonella e si chiude la porta a chiave dietro di sé, lasciando tracce un po’ ovunque: sul corpo, su un giornale, sul lavandino, nei mozziconi di sigarette. Il delitto, secondo i criminologi, potrebbe essere compatibile sia con un movente d’impeto che con un atto premeditato.

Le indagini della Guardia di Finanza e della polizia ripartono dai testimoni, le donne e amiche che facevano la vita nel centro storico di Genova negli anni Novanta, e che conoscevano il segreto di Luigia Borrelli, l’infermiera che in quei vicoli diventava Antonella. Gli investigatori vanno a cercare vecchi usurai e giocatori d’azzardo, altro ambiente frequentato dalla vittima, sommersa di debiti lasciati dal marito. Un impulso decisivo alla riapertura del fascicolo, sebbene poi si rivelerà infondato, arriva dalla figlia di un’infermiera, una collega dell’ospedale San Martino, che riferisce dei sospetti su un primario e consente la riapertura delle indagini.

I MOZZICONI, IGNOTO 1 E IL DNA DEL CUGINO

La svolta arriva dalle nuove analisi sugli elementi ritrovati sul luogo del delitto, già analizzati più volte, ma che con tecniche moderne possono restituire nuovi elementi: nel 2023 vengono estratti 49 marcatori del codice genetico, rispetto agli 11 del 1995. Si possono analizzare con più chiarezza reperti come i tre mozziconi di Diana Blu, quelle sigarette che forse il killer ha fumato insieme alla vittima prima di ammazzarla. C’è una traccia di saliva che porta all’autore di quel crimine efferato, c’è il suo sangue su vari oggetti che scandiscono la dinamica dell’aggressione. A mancare, però, è un altro codice genetico con cui comparare quella traccia, in modo da dare finalmente un nome a Ignoto 1. Ci vuole metodo, nelle indagini. Ma a volta anche un po’ di fortuna. E la fortuna arriva, in questo caso, dopo aver affinato il metodo: la polizia riesce a isolare nuovi elementi di quel Dna, lo inserisce nella banca dati nazionale che dal 2017 scheda chi entra in carcere, e trova finalmente la svolta attesa per anni. Una corrispondenza parziale con il Dna di un uomo passato dal carcere di Brescia.

Si chiama Vincenzo Verduci. Sicuramente non è lui l’uomo che la polizia sta cercando, ma ragionevolmente è un parente stretto di Ignoto 1. Il pm Patrizia Petruzziello, lo stesso che indaga ininterrottamente su quel caso dall’inizio della sua carriera, chiede un approfondimento su familiari che possano essere residenti in Liguria. Le ricerche ricadono su un padre e un figlio, Domenico e Fortunato Verduci, originari di Oppido Mamertina, paesino nella piana di Gioia Tauro, ma residenti da anni a Genova. Il secondo, in particolare, è il profilo più interessante: ha 65 anni, vive da sempre a Marassi, quartiere della vittima; fuma Diana Blu, le sigarette trovate sul luogo del delitto; è perennemente indebitato per colpa del gioco d’azzardo (elemento ritenuto rilevante in questa vicenda, perché la vittima è stata anche rapinata); ha alle spalle un matrimonio burrascoso, con accuse di maltrattamenti che inizialmente si affacciano nella causa di separazione per poi essere ritirate; fa il carrozziere, ha dimestichezza con i trapani, nella sua officina ne tiene svariati. C’è inoltre un altro collegamento che porta alla vittima: il suocero di Verduci, E.B, era amico di Ottavio Salis, l’artigiano proprietario del trapano con cui viene trucidata Antonella. Salis, che era anche conoscente e cliente della donna, è la seconda vittima di questa storia: interrogato dai carabinieri, si contraddice, mente, e infine si suicida poco prima dell’interrogatorio del pm, quando il suo nome è già su tutti i giornali come indagato per l’omicidio. Verrà scagionato dal Dna, ma troppo tardi.

IL DNA PRELEVATO DI NASCOSTO

Ce n’è abbastanza per vederci più chiaro e gli investigatori del nucleo di polizia economico e finanziaria della Guardia di Finanza, con un sotterfugio, prelevano il Dna di Verduci. Raccolgono una bottiglietta d’acqua e confrontano il Dna con le le vecchie tracce. Secondo una prima relazione della polizia, firmata dalla dottoressa Daniela Scimmi, “c’è una totale corrispondenza fra il Dna di Fortunato Verduci e due tracce fondamentali, la saliva lasciata da Ignoto 1 su una sigaretta e il sangue su una placca copri interruttore”. Una corrispondenza totale, “fatta salva l’esistenza di un gemello omozigote” che viene “esclusa” dagli accertamenti. A questo primo report si aggiungono poi due consulenze: la prima, dedicata allo studio dei reperti, è firmata dall’ex comandante dei Ris di Parma, il generale Luciano Garofano; la seconda, sulle modalità comportamentali, dallo psichiatra Pietro Petrini e dallo psicologo Marcello Garofano.

L’EX CAPO DEI RIS GAROFANO: CORRISPONDENZA TOTALE

Secondo Luciano Garofano, “il profilo di Fortunato Verduci corrisponde al profilo di colui che lasciò le tracce nel fondo di vico Indoratori (teatro del delitto)”; “il profilo di Verduci deve essere considerato come unico ed esclusivo”, “siamo di fronte a un dato matematico numerico che di fatto esclude la possibilità di un errore”; “la saliva rilasciata sulle tre cicche di marca Diana e le tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine sono riconducibili con certezza scientifica a Fortunato Verduci”. Le tracce di Ignoto 1 “erano sicuramente riconducibili a uno stesso individuo ignoto: si tratta evidentemente dell’ultima persona che ha frequentato la Borrelli il giorno dell’omicidio e che nel corso dell’incontro/aggressione si ferì, rilasciando sulla scena del crimine le citate tracce di sangue”.

Per gli inquirenti, “non c’è una verosimile spiegazione alternativa lecita della presenza di Verduci sul luogo dell’omicidio”: “Si tratta di tracce non deteriorate e rinvenute subito dopo la scoperta dell’omicidio; non vi è una sola traccia ma più tracce (…); vi sono più tracce del sangue di Fortunato Verduci non in un solo punto, ma su più parti del fondo di vico Indoratori, tutte temporalmente compatibili tra loro, sulla placca dell’interruttore, su un giornale, sulla tenda divisoria, sul lavandino; ciò significa che non vi può essere un evento diverso dall’omicidio in cui Verduci possa aver lasciato in contemporanea quelle tracce; vi sono tracce biologiche diverse, due salivari e quattro di sangue”. Soprattutto: “Non solo le tracce sono presenti sparse in tutto il fondo, ma seguono esattamente la dinamica omicidiaria come ricostruita dalle indagini”.

Per corroborare il quadro indiziario, gli inquirenti ricostruiscono “l’interesse ossessivo verso il gioco” che accomuna “l’indagato Verduci e la vittima Luigia Borrelli”. “La circostanza è altresì riscontrata dalle telefonate intercettate con la compagna (….) Verduci viveva in costante bisogno di soldi (…) chiedeva anche piccole somme in prestito da familiari mentendo, adducendo false giustificazioni, impegnandole poco dopo in giocate”.

IL NO DEL GIP: NON È DETTO SIA ANCORA PERICOLOSO

È un quadro importante, secondo quanto riconosce lo stesso giudice per le indagini preliminari Alberto Lippini, secondo cui però non è provata “l’attualità del concreto rischio di reiterazione del reato” per concedere l’arresto, richiesto dal pm Patrizia Petruzziello: “Sono trascorsi quasi trant’anni dalla commissione dei fatti – scrive il giudice – all’epoca Verduci aveva 36 anni, ora ne ha 65. Chiunque ad oltre 30 anni dai fatti per cui si procede è, in astratto, una persona diversa e, quindi, devono sussistere elementi specifici assolutamente pregnanti e concreti per far sì che in un arco di tempo così ampio si mantenga attuale il pericolo di reiterazione del reato”. La Procura ha presentato appello al tribunale del Riesame contro questa decisione.

Nel frattempo Verduci, perquisito due giorni fa, si proclama innocente. I difensori Nicola Scodnik e Giovanni Ricco sottolineano come al momento non ci sia che la prova del Dna, che andrà attentamente vagliata da consulenti di parte: mancano insomma i tasselli che dovrebbero spiegare i rapporti tra la vittima e il sospettato dell’omicidio. Nessun accertamento, fanno notare, risulta peraltro essere stato condotto sui fratelli di Verduci. Mentre la figlia di Luigia Borrelli, assistita dall’avvocato Rachele De Stefanis, si augura che questa sia “la volta buona”. Per mettere fine a una storia dolorosa e dare una spiegazione a un mistero lungo trent’anni.