Crime

Emanuela Orlandi, l’analisi dell’audio delle torture a “Chi l’ha visto”: “Tale sofferenza non può essere simulata”. Il racconto choc di altre donne seviziate in quell’anno

Parliamo dell’audio che fu fatto ritrovare da uno dei presunti rapitori di Emanuela Orlandi il 17 luglio del 1983, quasi un mese dopo la scomparsa della cittadina vaticana nel cuore di Roma

di Alessandra De Vita
Emanuela Orlandi, l’analisi dell’audio delle torture a “Chi l’ha visto”: “Tale sofferenza non può essere simulata”. Il racconto choc di altre donne seviziate in quell’anno

“E se questa voce non fosse di Emanuela Orlandi ma di un’altra giovane donna, picchiata, seviziata e torturata? Ma chi nello stesso periodo della scomparsa di Emanuela è stata rinchiusa e seviziata?”: è partita da questa domanda e da una nuova analisi del cosiddetto audio delle torture, la nuova edizione di Chi L’ha visto, il programma dedicato alle persone scomparse in onda ieri su Rai Tre.

Parliamo dell’audio che fu fatto ritrovare da uno dei presunti rapitori di Emanuela Orlandi il 17 luglio del 1983, quasi un mese dopo la scomparsa della cittadina vaticana nel cuore di Roma. L’uomo telefonò presso la sede dell’agenzia Ansa indicando il punto in cui l’avrebbe lasciato al cronista che andò a ritirare il nastro sulle scale del Quirinale, a pochi passi da lì. Andò così quel giorno: il cronista chiamò subito in questura e il nastro fu ritirato da un allora giovane agente della Digos, Antonio Asciore, intervistato dagli inviati della trasmissione. “Siamo rimasti scioccati, ci siamo chiesti cosa stessero facendo a questa ragazza. Abbiamo pensato la stessero torturando ma non capivamo cosa le stessero facendo”. La cassetta venne fatta ascoltare ai familiari di Emanuela a cui sembrò di riconoscere in quel nastro la sua voce. Ma cosa contiene questa cassetta?

Nel verbale del 18 luglio, gli agenti del Sismi scrissero: “Si sentono i lamenti ripetuti di una giovane donna sottoposta a sevizie”. Secondo gli agenti non c’era finzione, ritennero si trattasse di una registrazione autentica e non di spezzoni di un film hard montati ad hoc, come poi dissero al padre di Emanuela, Ercole Orlandi, giorni dopo (“sono solo spezzoni di un film porno”). Gli agenti individuarono anche delle voci maschili, circa tre, tra cui una con accento romanesco che dava come dei rimproveri alla ragazza che intanto continuava a subire delle torture ad intensità crescente. È tutto scritto nella relazione finale del 25 luglio, dove è messo nero su bianco che il soggetto passivo di sesso femminile fosse sottoposto a sevizie carattere sessuale da almeno tre persone. “Si esclude che tale sofferenza possa essere stata simulata dalla ragazza”.

Tutto questo è già noto ma ieri nel corso del programma, è stata lanciata una nuova ipotesi. È stata trasmessa la registrazione del racconto, raccolto in sede processuale in aula tribunale, di tre ragazze che raccontano di aver subito delle torture da parte di alcuni funzionari dello Stato (della Polizia), poi condannati. Una di loro dice: “Quando entrarono da me, iniziarono a schiaffeggiarmi, a darmi calci. Mi dicevano che secondo loro non bastava, dovevano passare ad altre cose. Mi spogliarono, mi misero su un tavolo dicendomi che mi avrebbero violentato con un bastone. Dopo un po’ di queste cose mi tolsero dal tavolo e iniziarono a prendermi a calci sui genitali per poi a stringermi capezzoli”. Un racconto agghiacciante ma perché è stato tirato in ballo nel caso della scomparsa della 15enne vaticana?

La ragazza in questione raccontò tutto questo in aula il 15 luglio del 1983, due giorni prima del ritrovamento del nastro. Questo risponde alla domanda iniziale: chi fu torturato in quello stesso periodo. Tra le torture attuate c’era la negazione del sonno. E anche questo ci riporta al nastro delle torture e a quella frase in cui Pietro Orlandi sembra di riconoscere proprio la voce della sorella: “Per favore mi lasci dormire adesso”.

Dopo questo racconto, ci fu una sentenza di primo grado di condanna per questi funzionari dello Stato. Il reato di tortura non esisteva ancora ma i poliziotti imputati furono condannati per aver inscenato una falsa fucilazione ai danni non delle ragazze ma di un uomo preso in quella stesse circostanze. Erano tutti fiancheggiatori delle Brigate Rosse e le guardie cercavano di estorcere loro delle informazioni. Parliamo della squadra del “Professor De Tormentis” che tra gli anni ’70 e ’80 torturò i brigatisti per liberare il generale americano James Lee Dozier. La cosiddetta squadra dell’Ave Maria, come ha ricordato ieri anche una delle sue vittime, Enrico Triaca (ex brigastista) che per aver denunciato poi le torture fu arrestato e condannato per calunnia. Un racconto che però è stato confermato anche da un ex commissario, Salvatore Genova. Genova è morto nel 2023 ma ieri è stata trasmessa una sua intervista in cui dichiarò: “C’erano violenze fisiche anche a sfondo sessuale. Le donne venivano denudate e trasformate in oggetto su cui venivano fatte osservazioni volgari”. Le registrazioni mandate ieri in onda in cui si racconta di queste torture coinvolgono tre ragazze oggi adulte, tre vittime. “Sono ancora vive? Hanno ascoltato la cassetta”: si è chiesto ieri Pietro Orlandi, ospite in studio. Le tre donne pare siano ancora in vita e potrebbero quindi dire se quella voce contenuta nel nastro delle torture è la loro.

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