Cronaca

Moussa Sangare un serial killer? L’ipotesi che lega Yara Gambirasio a Sharon Verzeni. Ma l’avvocato di Massimo Bossetti smentisce la richiesta di comparare il Dna

L’ipotesi sembra assurda, ma potrebbe riaprire uno dei casi giudiziari più seguiti in Italia. Secondo quanto riportato dal settimanale Giallo, Claudio Salvagni, l’avvocato difensore di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della giovane Yara Gambirasio, avrebbe chiesto alla Procura di verificare se Moussa Sangare, l’uomo reo-confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni, possa avere un legame con […]

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L’ipotesi sembra assurda, ma potrebbe riaprire uno dei casi giudiziari più seguiti in Italia. Secondo quanto riportato dal settimanale Giallo, Claudio Salvagni, l’avvocato difensore di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della giovane Yara Gambirasio, avrebbe chiesto alla Procura di verificare se Moussa Sangare, l’uomo reo-confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni, possa avere un legame con il delitto della tredicenne uccisa nel 2011. Ad unire i due casi c’è il fatto che il 31enne di origini africane è stato immortalato dopo il delitto da una telecamera a Chignolo d’Isola, proprio il paese dove c’è il campo in cui fu ritrovato il cadavere di Yara Gambirasio. La supposizione, che all’apparenza sembra inverosimile, ha attirato molta attenzione, soprattutto considerando che Sangare, all’epoca dei fatti, aveva solo 18 anni. Tuttavia, Salvagni ha negato di aver avanzato una richiesta ufficiale in questa direzione: “Ogni approfondimento è sempre positivo, ma non ho chiesto nessun esame sul Dna che non sia quello di Ignoto 1”, ha dichiarato l’avvocato. Sempre dalle pagine di Giallo, pronta la replica della criminologa Roberta Bruzzone: “L’assassino della piccola Yara è già in prigione. L’ipotesi dell’avvocato è semplicemente fantasiosa”.

Il cuore della battaglia legale di Salvagni ruota infatti da anni intorno al test del Dna, considerato la prova regina nel processo che ha portato alla condanna di Bossetti. L’avvocato contesta la metodologia utilizzata durante l’indagine e la gestione dei campioni di materiale organico: secondo Salvagni, ci sarebbero stati due Dna rimasti ignoti e nove formazioni pilifere trovate sul corpo di Yara che non appartengono a Bossetti. La difesa si concentra quindi su un presunto errore commesso dalla pm Letizia Ruggeri, che nel corso delle indagini ha deciso di spostare 54 campioni di Dna, portandone alla distruzione: le provette, conservate a -80 gradi, furono portate a temperatura ambiente, causando il loro deterioramento. “Chiediamo solo di cercare la verità”, ha ribadito Salvagni.

Un punto centrale delle argomentazioni della difesa riguarda in particolare il Dna mitocondriale, un elemento importante del patrimonio genetico che non coincide con il Dna nucleare di Bossetti, trovato sugli indumenti intimi di Yara. Secondo il legale, questo aspetto è stato ignorato. Nella serie Netflix dedicata al caso, l’esperto di genetica forense Peter Gill ha sottolineato che, oltre al Dna di Bossetti, doveva esserci il mitocondriale di una terza persona: “La certezza con cui si afferma che sul corpo di Yara c’era il nucleare di Bossetti è ascientifica“, ha affermato Salvagni, aggiungendo che nella bergamasca esiste una sorta di “microcosmo genetico” che potrebbe spiegare la somiglianza tra Dna simili. Per questo Salvagni ora chiede di poter analizzare nuovamente gli indumenti di Yara per cercare eventuali altre tracce di Dna, e propone di comparare i campioni trovati sul corpo della giovane con quelli di Sharon Verzeni, la donna uccisa quest’estate per cui Sangare ha confessato il delitto. In ogni caso, al momento, per la giustizia italiana, Massimo Bossetti rimane il colpevole dell’omicidio della giovane Yara Gambirasio.