Scuola

Riparte la scuola e torna in libreria Cristina Frascà con “L’ora di felicità” e la “sua” supplente che impara dagli studenti | L’estratto

“Tutti dovrebbero leggere Cristina Frascà per scoprire cosa vuol dire fare il lavoro più bello e difficile del mondo: l’insegnante” ha scritto Enrico Galiano. E Frascà torna in libreria con L’ora di felicità (Garzanti, 368 pagg., 18,60 euro) il suo ultimo romanzo divertente, leggero e capace di raccontare la realtà del nostro tempo. E torna […]

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“Tutti dovrebbero leggere Cristina Frascà per scoprire cosa vuol dire fare il lavoro più bello e difficile del mondo: l’insegnante” ha scritto Enrico Galiano. E Frascà torna in libreria con L’ora di felicità (Garzanti, 368 pagg., 18,60 euro) il suo ultimo romanzo divertente, leggero e capace di raccontare la realtà del nostro tempo. E torna anche Anna Tosetti, già protagonista de La supplente (2021). Non è ancora una professoressa di ruolo. Ma dopo anni passati a fare supplenze brevissime e sempre con un preavviso praticamente inesistente, ora torna in quella che può considerare a tutti gli effetti la sua classe. Potrà rivedere i suoi ragazzi. E questa volta li potrà accompagnare sino alla fine dell’anno. Anna, però, ha un problema tremendo: non sa farsi gli affari propri. Vuole aiutare tutti, ma è anche una vera calamita per i guai. E così, mentre cerca di tirare fuori dai pasticci uno dei suoi studenti che è finito in giri loschi, si ritrova di fronte a realtà terribili alle quali non è affatto preparata. Quando le viene affidato un ragazzo problematico, non riesce a non portarsi il lavoro a casa e, per aiutarlo, si complica la vita. Quando si accorge che una collega è assente da troppo tempo, decide di improvvisarsi detective e deve fronteggiare una valanga di imprevisti (compreso un gatto che le fa agguati continui). Così, impegnata a risolvere misteri e a rimediare ai disastri altrui, Anna rischia di non rendersi conto che sta trascurando la sua vita. Eppure, è proprio dai suoi studenti, quelli a cui pensava di dover insegnare tutto, che impara le lezioni più preziose. E invece di lasciarla affogare in un mare di guai, le persone che ha aiutato la porteranno in salvo facendole posto sulla loro scialuppa.

Cristina Frascà (1976) è nata a Torino, città dove vive e lavora. Laureata in Lettere moderne, è un’insegnante e assicura di imparare molto dai suoi studenti. Appassionata lettrice, adora viaggiare, osservare le persone e trascorrere del tempo insieme a suo marito, alle due figlie e agli amici. L’ora di felicità è il suo secondo romanzo pubblicato con Garzanti e ilfattoquotidiano.it pubblica qui un estratto.

***

«Tosetti, c’è qualcuno che si chiama così o dobbiamo passare alla successiva in graduatoria?»

Il presente richiede la mia attenzione.

«Eccomi», rispondo alla chiamata. «Sono io, mi scuso, non avevo sentito.»

«Ah, bene…» sentenzia quella donna con tono esausto.

Oggi è l’ultima chiamata per le ultime cattedre disponibili per il ruolo. La sindacalista che mi aveva assistito quando ancora ero una paria-aspirante supplente con la quale nessuno voleva parlare è presente anche in questa sede a dispensare preziosi consigli. Così, quando tocca a me, vengo a scoprire che posso scegliere due diverse opzioni: un liceo scientifico in provincia oppure un istituto tecnico in città.

«Signorina, ha deciso?» mi chiede l’incaricata indispettita.

«Allora, Anna», interviene la sindacalista, «non mi pare ci sia molto da riflettere: da un lato una scelta più disciplinare, dall’altra un’opzione con una connotazione educativa più forte. Per cosa ti senti pronta?»

Eh, pronta… Io pronta non mi sento mai! Però dubito che in questo caso sia davvero di interesse comune la mia propensione a lanciarmi o no nell’impresa e quindi prendo coraggio e mi faccio avanti.

«Scusatemi, nell’elenco non c’è anche una cattedra all’Artusi?»

Me ne aveva parlato Elena, la mia ex collega di scienze motorie, quindi sapevo che doveva esserci ancora una chance.

«No», mi rispondono all’unisono, ma poi la sindacalista aggiunge: «C’è una cattedra parziale all’istituto alberghiero e il suo completamento con quattro ore all’istituto tecnico Grassi. Attenta, però, che non sono così vicini tra loro!».

«Prendo quella», replico risoluta.

«Ma ci pensi bene.» L’incaricata dell’USR mi rimprovera. «Che senso ha prendere una cattedra divisa in due scuole quando può optare per una scelta più semplice?»

Io rispondo con il sorriso estatico del Budda, perché non posso credere a tanta fortuna: «Continuità. Lo scorso anno ho insegnato lì e i miei ragazzi mi aspettano!».

Firmo quintali di scartoffie sotto lo sguardo incredulo delle due donne che sovraintendono ai lavori e poi, raggiunta casa, prendo la mia amata Vespa, negletta da troppo tempo, e mi dirigo verso quella che sento essere la mia scuola.

Tento di parlare con Sasha, ma non risponde, e nel dare la notizia alla segreteria telefonica fatico non poco per evitare di piangere. Perché ha il telefono non raggiungibile e perché, con il calo di tensione, sento anche la definitività di questa mia scelta. Quest’anno lavorerò a Torino. Lui a Parigi. Sebbene sappia che è stata una mia decisione, trovo pesante assumerne davvero la responsabilità. Vuol dire ammettere che ho scelto di non addormentarmi con lui, di non coccolarci pigramente nei suoi giorni liberi e di non esserci quando torna stravolto perché qualcosa in ospedale non è andato per il verso giusto.

Ieri, quando ci siamo salutati, mi ha incoraggiato.

«È giusto», ha detto abbracciandomi, ma io sentivo un fondo di risentimento nelle sue parole. Come se lo stessi lasciando, come a decretare la fine di quel mondo che stavamo costruendo e che mi piaceva tantissimo.

Ma perché le cose belle devono capitare tutte insieme? Come in un banchetto troppo ricco in cui i sapori di ogni portata si sovrappongono senza riuscire a gustarne davvero nessuna? Lo scorso anno non avevo né amore né lavoro e mi sentivo una nullità; quest’anno la situazione si è capovolta, eppure io mi sento anche peggio.

Parcheggio la Vespa davanti a scuola. Sono le due del pomeriggio e i ragazzi di certo non ci saranno più. Peccato! Mi sarebbe piaciuto dare loro la notizia, anche se adesso sarebbe opportuno parlare con Rosella Gad, il capo assoluto della scuola, da me ribattezzata Flower Power per il suo modo femminile e al tempo stesso militaresco di gestire l’istituto. Quando entro nell’atrio trovo ai tavolini della zona bar le due collaboratrici della preside intente a far quadrare gli orari di docenti e studenti.

«Oh, eccola qui!» dice la Bruni alzandosi in piedi. «Non osavamo sperare in tanta fortuna. Sapevamo che potevi scegliere una cattedra intera e invece hai preferito noi: sei matta, ma ti fa onore!»

Io mi sento un po’ in soggezione perché Lucia Bruni è un’istituzione: una donna dai modi e dall’aspetto elegantissimi, che gli studenti rispettano e che ottiene sempre eccellenti risultati dalle sue classi.

«Libiamo ne’ lieti calici…» le fa eco levando un bicchiere colmo d’aranciata, in un brindisi in stile Traviata, la sua collega Liù Secchia. Poi la biondissima insegnante di matematica, melomane convinta e soprano lirico, mi abbraccia con trasporto. In gioventù si narra che facesse parte di un gruppo rock. Ma troppe sono le leggende sul suo conto, perché possano essere tutte vere.

In ogni caso la loro accoglienza mi conforta. Mi aggiornano sulla situazione, illustrandomi alcune nuove esigenze a cui la scuola deve far fronte quest’anno, e mi accompagnano nel sancta sanctorum dell’istituto: in presidenza. Flower Power è intenta a scrivere qualche documento al PC con tanta energia che il rumore dei tasti ricorda quello di una vecchia Remington. Quando si accorge di noi, mi regala uno dei suoi sorrisi aperti, rari e imprevedibili: «Tosetti, sono davvero felice di rivederla! Sa, non è che i concorsi ci regalino sempre il meglio degli aspiranti, ma ogni tanto accade».

© 2024, Garzanti S.r.l., Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol