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Spagna, la giustizia può attendere (dopo 49 anni): respinto l’unico caso ammesso in tribunale sulle torture franchiste

“L’unico modo per chiudere le ferite è con la verità… Se non lo fai, sanguineranno sempre”. Così, un anno fa, Julio Pacheco Yepes raccontava all’agenzia Afp il suo desiderio giustizia in una Spagna democratica. Una speranza coltivata dal 1975, quando Pacheco fu arrestato dalla polizia franchista per terrorismo e sottoposto a torture. Il franchismo non […]

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“L’unico modo per chiudere le ferite è con la verità… Se non lo fai, sanguineranno sempre”. Così, un anno fa, Julio Pacheco Yepes raccontava all’agenzia Afp il suo desiderio giustizia in una Spagna democratica. Una speranza coltivata dal 1975, quando Pacheco fu arrestato dalla polizia franchista per terrorismo e sottoposto a torture. Il franchismo non c’è più, ma il sentiero per ottenere soddisfazione resta tortuoso, anche dopo 49 anni.

Il giudice ha archiviato il procedimento in base a due punti: la denuncia fuori tempo massimo, e l’indicazione della Corte costituzionale in base alla quale su alcuni reati non è possibile applicare le indicazioni stabilite dalla normativa sulla “Memoria democratica”. Una legge approvata dal governo Sanchez nel 2022, mirata a riconoscere e portare allo scoperto i crimini del franchismo durante la dittatura del Caudillo; sostenuta dalla sinistra spagnola, la “Memoria democratica” è stata strutturata dall’allora ministro Felix Bolaños, anche allo scopo di affrontare “l’annosa questione dei resti delle vittime della guerra civile” con diverse misure per “risolvere il debito della democrazia spagnola con il suo passato”.

La destra iberica da un lato non si è opposta a muso duro, ma dall’altro ha mugugnato sul fatto che la normativa avesse avuto l’appoggio degli indipendentisti baschi. In questo quadro, la vicenda di Pacheco Yepes poteva rappresentare una svolta anche per le vittime della polizia politica: il suo è l’unico caso approdato in un’aula di giustizia. Dunque, Pacheco ha segnato un punto a suo favore, ma la Giustizia ha subito pareggiato, archiviando il caso. L’autore della denuncia ha raccontato come sia stato difficile raccogliere la documentazione a sostegno del suo caso, data la “totale” riluttanza a collaborare di enti pubblici come l’Archivio nazionale.

Nell’aula del tribunale, è stato riavvolto il nastro degli eventi: Julio Pacheco aveva 19 anni quando fu arrestato, assieme alla sua compagna Rosa Maria Garcia, poi divenuta sua moglie. Pacheco era un attivista della Federazione Universitaria Democratica Spagnola (FUDE). Rosa e Julio furono accusati di aver preso parte all’omicidio di Antonio Pose Rodriguez, tenente della Guardia Civil. Era il 24 agosto 1975, la coppia fu portata nella caserma Porta del Sol, e sottoposta alle torture della Brigata Politica. Il ragazzo su “ammanettato a un termosifone, colpito sulle piante dei piedi”. Pacheco fu privato del cibo e del sonno e per “per spezzare la sua volontà”, gli agenti gli mostrarono le ferite della sua compagna. Nella sua denuncia, Pacheco punta l’indice su quattro agenti, tra cui l’ex commissario José Villarejo: ricorda che lo chiamavano “il tedesco”, per la sua struttura fisica, il suo piglio e il suo viso rubizzo.

Dopo una settimana di “trattamento”, Julio e Rosa furono rilasciati. Ma le ferite restano, soprattutto quelle intime e morali. A 68 anni, Pacheco ha deciso, lo scorso anno, di portare nell’aula di tribunale la causa contro i suoi presunti torturatori, nella speranza che la legge sulla Memoria democratica potesse essere il grimaldello per scardinare il silenzio su quelle vicende, perché bisogna ricordare che nel 1977 una amnistia ha garantito un salvacondotto a coloro che avevano commesso crimini durante la guerra civile e la successiva dittatura. E proprio in nome di quella amnistia tutti i casi precedenti a quelli di Pacheco erano stati respinti.

Grande era stata la soddisfazione dell’ex militante antifranchista quando l’anno scorso la giudice Ana María Iguacel, del Tribunale investigativo n. 50 di Madrid, aveva ammesso la sua denuncia. La stessa magistrata, però, ha rivisto la sua decisione, richiamando una sentenza della Corte costituzionale dove si evidenziano: la prescrizione, la legge di amnistia del 1977 e l’inesistenza del crimine contro l’umanità durante il regime franchista.

Pronunciamento legato ad un altro caso, denunciato a Valencia da Francisco Ventura Segura. Arrestato il primo maggio 1967, trascorse diversi anni in prigione divenendo testimone e subendo lui stesso le torture dei franchisti. Il tribunale di Valencia non aveva inteso procedere, rivolgendosi alla Corte Costituzionale: da lì arriva l’indicazione giuridica utilizzata anche dalla giudice Iguacel; ha archiviato anche la denuncia di Pacheco stabilendo che quanto subito dal militante nella Direzione Generale di Sicurezza di Puerta del Sol nel 1975 non può essere considerato un “crimine contro l’umanità” per il principio di irretroattività della legge. Pacheco non molla, e con i suoi legali annuncia ricorso. La moglie, Rosa, al quotidiano el Diario non ha nascosto la sua amarezza:“Non abbiamo ancora diritto alla giustizia che ci spetta in quanto vittime, anche se sono trascorsi 49 anni dalla morte del dittatore. Che governo deve esserci in Spagna per compiere questo passo essenziale?”