Addio allo smartphone, in classe, fino alla terza media: una delle novità dell’anno scolastico ai nastri di partenza. Ma in Italia già da anni si moltiplicano le iniziative per scongiurare l’abuso digitale da parte dei ragazzi, a scuola ma anche dopo il suono della campanella. Non è stato un fulmine a ciel sereno, la circolare firmata dal ministro Valditara, l’11 luglio, per vietare l’uso del telefono a scuola anche per fini didattici. Il primo esperimento andò in scena già nel 2018, quando al liceo San Benedetto di Piacenza divenne obbligatorio, per gli studenti, sigillare il telefono dentro una tasca chiusa.
L’anno prima, in Piemonte, l’Associazione Contorno Viola aveva dato vita ad un esperimento di successo: il patentino per lo smartphone. L’idea è che il device sia seducente e ricco di opportunità, ma anche fonte di pericoli, come le quattro ruote. E se non diamo ai giovani le chiavi dell’automobile senza le giuste competenze, perché dovremmo lasciargli in mano uno smartphone?
Francesca Paracchini ricorda bene la molla che diede il là: “Era il 2017, il parlamento elaborava la legge 71 contro la violenza verbale online e la provincia di Verbano-Cusio-Ossola fu toccata da due casi di cyberbullismo. Famiglie e insegnanti erano disorientate di fronte a questi nuovi malesseri e chiedevano il da farsi sullo smartphone per i figli”. Così è nata l’idea del patentino per i ragazzi delle scuole elementari e medie, sul territorio, tra associazioni di volontariato, pedagogisti, psicologi, forze dell’ordine, coordinati dall’Azienda sanitaria locale e l’Ufficio scolastico. La Regione Piemonte lo ha adottato ufficialmente come strumento di lotta ai bullismi (con la legge n. 2 del 2018) mentre il progetto si diffondeva lungo la Penisola: sul modello di Verbania, sono state consegnate 100 mila patenti ai ragazzi delle scuole medie e 15 mila alle superiori.
Tre anni fa sono nati i corsi e la patente anche per le scuole superiori. Le lezioni in classe, alle elementari e medie, si svolgono senza smartphone. Alle medie, al massimo, si usa l’attrezzatura scolastica, cioè tablet e pc. Per le elementari, s’insegnano le basi dell’alfabeto digitale. I corsi dunque andranno avanti, malgrado il divieto di smartphone sancito dal ministro Valditara. Eppure, secondo Paracchini il governo va in direzione opposta alla filosofia del patentino: “educare, non proibire, il problema non è smartphone Sì o No, ma capire come usarlo”.
Paracchini insegna Scienze umane ed è una formatrice dei corsi per il patentino. Segue il progetto sin dalla prima ora con l’associazione Contorno Viola e da Valditara prende le distanze: “Restiamo in attesa delle linee attuative, non è chiaro come verrà impedito, nei fatti, l’uso dello smartphone. Basta entrare in una classe per capire come sia difficile: sulle prime il ministro ci ha fatto sorridere, il suo sembrava un proclama vuoto”.
Il corso per prendere il patentino è diviso in tre passi: la formazione dei docenti; le lezioni in classe (8 ore in tutto) durante il tempo dedicato all’educazione civica; il test e la cerimonia con l’attestato. Partiamo dalla fine: i test simulano situazioni di ordinaria vita online, non verificano nozioni. “Per superarli si risponde a domande del tipo ‘cosa faresti se…’”, racconta Paracchini. In aula i ragazzi imparano partecipando ai laboratori: “Realizzano campagne contro il bullismo con video, immagini, meme, ma ovviamente dipende dall’età”, dice Francesca.
I temi sono quelli delicati, mano a mano che l’età cresce: protezione dei dati, cyberbullismo, sexting, revenge porn, odio in rete e fake news. In generale, “si conducono giochi di ruolo in situazioni di stupidità digitale, i casi in cui si rischia di offendere qualcuno o compiere qualche imprudenza”, aggiunge Paracchini. I docenti, prima di pianificare le lezioni in 4 moduli da 8 ore, seguono i corsi di formazione. Alla consegna del patentino si celebra con una cerimonia in grande stile: “Una sorta di rito di passaggio in una società che li ha aboliti, è un momento molto sentito dai ragazzi”, racconta Francesca.
Ma la formazione non è conclusa, l’idea è che diventi una patente di comunità: per i ragazzi delle elementari è una sorta di foglio rosa, il preludio alla vera “patente” delle scuole medie fino al rinnovo del liceo. Per i docenti i corsi di aggiornamento sono continui, anno dopo anno, per tenere la “patente” al passo con l’innovazione. La cerimonia dunque non è l’ultimo passo: anzi, prepara il terreno ad un patto educativo tra le famiglie e le scuole. “Insegnare, invece di punire, in uno spirito di comunità”, dice Francesca.
“Comunità” è la parola chiave anche dell’Associazione Mec, che dal 2021 cura la sperimentazioni in Friuli Venezia Giulia del patentino per lo smartphone. Tre anni fa l’inizio con 10 scuole, oggi il progetto coinvolge quasi tutti gli istituti della regione, circa 150. Daniele Cuder coordina il progetto e fa parte del team che forma i docenti. Lui e i suoi colleghi apprezzano alcuni aspetti della linea Valditara: “Il ministro avvalora la nostra tesi, fino ai 15 anni lo smartphone non serve neppure per la didattica”. Vedono di buon occhio la proposta lanciata da Daniele Novara e Alberto Pellai, sottoscritta da esperti e intellettuali, di vietare lo smartphone fino ai 14 anni. Il “proibizionismo” non è tabù: “Ma non può essere l’unica soluzione, bisogna insegnare l’uso corretto dei dispositivi con il coinvolgimento dei genitori, perché il problema è a casa e nel tempo libero”.
Prima il “patentino”, poi il possesso dello smartphone per un uso consapevole: almeno in teoria. Sin dalla più tenera età gli infanti stringono il device tra le mani e tenere i pargoli al riparo dagli schermi è un’impresa improba. “Noi consigliamo ai genitori di concordare tra loro l’età giusta per l’acquisto di uno smartphone – dice Cuder – perché se un ragazzo non ce l’ha e gli amici sì, è tutto inutile”.