Svolta nell’inchiesta a carico di Giovanni Toti: l’ex governatore ligure, arrestato il 7 maggio scorso e liberato a inizio agosto dopo quasi tre mesi ai domiciliari, ha raggiunto un’intesa con la Procura di Genova per patteggiare una pena di due anni e un mese di reclusione per i reati di corruzione per l’esercizio della funzione e finanziamento illecito. Essendo inferiore ai quattro anni, la pena detentiva – in base alla riforma Cartabia – sarà convertita automaticamente in 1.500 ore di lavori socialmente utili. Nell’accordo sono previste, come pene accessorie, anche l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e l’incapacità di contrattare con le pubbliche amministrazioni per la durata della pena principale, nonché la confisca di 84.100 euro, somma equivalente ai finanziamenti elettorali (dichiarati od occulti) ricevuti dai gruppi imprenditoriali Spinelli ed Esselunga, che secondo i pm costituivano tangenti erogate in cambio dello sblocco di pratiche amministrative. La soluzione dovrà essere approvata dal gup in un’apposita udienza, previa valutazione della congruità. Se arriverà l’ok, salterà il processo con rito immediato a carico del politico, che sarebbe dovuto iniziare il 5 novembre. Uno dei suoi due coimputati, l’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini (unico a finire in carcere) ha chiuso l’accordo a sua volta l’accordo con i pm Luca Monteverde e Federico Manotti: tre anni e cinque mesi oltre alla confisca di centomila euro. È probabile che la stessa scelta sarà fatta nei prossimi giorni anche dal terzo, il magnate dello shipping Aldo Spinelli, presunto corruttore di entrambi.

Per giustificare la mossa a sorpresa – finora Toti ha sempre sostenuto di non aver commesso alcun reato – l’avvocato Stefano Savi, difensore dell’ex governatore, diffonde un comunicato con numerose affermazioni inesatte e fuorvianti. A partire dall’esordio: “L’accusa riconosce che Toti non ha mai usufruito personalmente delle somme raccolte dal suo comitato politico, utilizzate solo per le attività politiche”, scrive. Ma non si tratta di un “riconoscimento”: la Procura non aveva mai contestato al politico di aver usato le presunte tangenti a fini personali. “Si riconosce anche”, prosegue la nota, “che gli atti prodotti dalla pubblica amministrazione fossero totalmente legittimi, così come i versamenti sotto forma di contributi all’attività politica”. Ma nessuno aveva mai detto il contrario: il reato, secondo l’accusa, stava nello scambio illecito tra i bonifici ricevuto dal gruppo Spinelli e l’interessamento di Toti per le sue pratiche portuali. La falsità più evidente, però, sta nella chiosa: “Cadono quindi le accuse di corruzione e le altre ipotesi di reato con l’esclusione della cosiddetta “corruzione impropria”, ovvero per atti legittimi degli uffici”. In realtà non è “caduto” nulla: l’accusa principale (e l’unica nel filone Esselunga) non è mai stata di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (articolo 319 del codice penale) ma sempre quella di corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318), la cosiddetta “corruzione impropria”. Cioè la stessa fattispecie ora oggetto dell’accordo di patteggiamento. Tanto che i pm hanno ottenuto la confisca della somma versata dagli imprenditori, ritenuta prezzo del reato.

Anche lo stesso Toti, nelle prime parole usate per commentare la notizia, accredita la falsa narrazione secondo cui la Procura avrebbe rinunciato a una parte delle contestazioni. “Come tutte le transazioni suscitano sentimenti opposti: da un lato l’amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni di innocenza, dall’altro il sollievo di vederne riconoscere una buona parte“, scrive. “Resta quel reato “di contesto” definito corruzione impropria, legato non ad atti ma ad atteggiamenti, una accusa difficile da provare per la sua evanescenza, ma altrettanto difficile da smontare per le stesse ragioni” prosegue. Anche qui è necessaria una precisazione, perché il reato di cui è accusato Toti non è affatto “evanescente” ma cristallino: punisce il pubblico ufficiale “che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve denaro o altra utilità“. E, come abbiamo già detto, la contestazione dei pm è sempre stata sostanzialmente questa. Scrivere che “resta” solo un “reato di contesto”, quindi, significa intorbidare le acque. E lo scopo, come si capisce subito dopo, è di ridimensionare l’ammissione di responsabilità e invocare di nuovo uno “scudo” legislativo per impedire nuovi casi giudiziari come il suo: “Di fronte a questo finale, credo appaia chiara a tutti la reale proporzione dei fatti avvenuti e della loro conclusione, che lascia alle forze politiche il dovere di fare chiarezza sulle troppe norme ambigue di questo Paese che regolano aspetti che dovrebbero essere appannaggio della sfera politica stessa e non a quella giudiziaria”.

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