“Non ho commesso alcun reato. Ora penso ad arrivare all’interrogatorio preparato per dimostrare la correttezza del mio operato“. Era il 16 maggio e Giovanni Toti, ai domiciliari da dieci giorni per corruzione, si rivolgeva al pubblico per la prima volta dall’arresto, attraverso un messaggio consegnato al suo avvocato Stefano Savi. Parole che anticipavano la linea difensiva sempre seguita da lì in avanti sul piano mediatico dall’ex governatore della Liguria: sostenere che le accuse dei pm – essersi interessato allo sblocco di pratiche in cambio di finanziamenti – fossero evanescenti e mirassero a criminalizzare l’attività politica e i legittimi rapporti con gli imprenditori del territorio. Tanto da chiedere più volte uno “scudo” al Parlamento e da dare al suo libro-memoir, di prossima pubblicazione, un titolo che più vittimista non si può: “Confesso, ho governato”. Poi però, nell’arco di una giornata, è cambiato tutto: Toti ha raggiunto un accordo di patteggiamento con la Procura di Genova per corruzione per l’esercizio della funzione, di fatto ammettendo all’improvviso che qualche reato lo ha commesso, e che i suoi comportamenti, forse, così specchiati non erano. Un dietrofront piuttosto imbarazzante per chi, al governo e in maggioranza, era pronto a garantire sulla sua innocenza.
Rileggiamo per esempio cosa diceva Attilio Fontana, governatore leghista della Lombardia, appena poche ore dopo l’arresto: “Sono assolutamente convinto che durante le indagini saprà chiarire le contestazioni che gli vengono mosse, contestazioni che mi sembrano più un teorema che una realtà“. E il 2 settembre, dopo che Toti si era dimesso per uscire dai domiciliari, andava ancora oltre: “Un presidente è stato costretto a dimettersi, accusato in un processo che all’apparenza appare molto, molto sottile e leggero. Un presidente che ha subito accuse infamanti dopo che per nove anni aveva cambiato la vita della Liguria”. Ecco invece il ministro della Difesa Guido Crosetto, secondo cui i finanziamenti registrati non potevano costituire tangenti: “Ho l’abitudine di leggere le carte, e quando ho letto le contestazioni a Toti non ho ben capito. Tutti pensano che sia stata messa in arresto una persona che ha preso dei soldi per se stesso. Quando poi si scopre che li ha presi regolarmente denunciandoli per una campagna elettorale diventa difficile capire come faccia ad essere un corrotto. Si è autodenunciato con i soldi della campagna elettorale?”. Pure Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura, era piuttosto scettico: “Non ho mai avuto occasione di pensare che il governatore della Regione Liguria agisse in modo sconsiderato, scorretto o addirittura, come gli viene attribuito, in modo lesivo delle normative”.
Poi ci sono gli innumerevoli attacchi riservati ai magistrati genovesi, “colpevoli” prima di aver chiesto e ottenuto l’arresto di Toti, poi di non avergli concesso la revoca dei domiciliari per il rischio di reiterazione del reato. La prima bordata era arrivata dal vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini: “Vorrei sapere, se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato, per quanto tempo continuerebbe a fare il magistrato”. Piuttosto aggressivo anche il commento alla Camera del ministro della Giustizia Carlo Nordio, dopo che il Riesame aveva confermato la misura cautelare: “Ho letto questa ordinanza e non ho capito nulla“. Forse, col senno di poi, ora può capire di più.