Nello sport, e non solo, l’Italia sembra essere il paese dell’indignazione a comando. Quando fa comodo si tirano in ballo etica e valori, altrimenti si passa tranquillamente oltre. Da ormai vent’anni, per fare un esempio, ogni volta che la nazionale di calcio incrocia la Danimarca o la Svezia si rispolvera il (presunto) biscotto di Euro 2004, nonostante non esista alcuna prova concreta dell’accusa. Di fronte invece al Crashgate di Singapore avvenuto in F1 nel 2008, cala il silenzio. O meglio, se ne parla per questioni di tifo, visto che la principale vittima dello scandalo fu il ferrarista Felipe Massa, che perse il titolo. Ma per Flavio Briatore, che fu accusato di essere uno dei due architetti della truffa, è difficile osservare vesti che si stracciano, mentre è molto più facile imbattersi in inchini e lisciate di pelo.
Briatore è ancora nel Circus, il credito di cui gode non è rappresentato solo dagli incarichi ricoperti negli ultimi – prima brand ambassador di Formula One Group, quindi consulente esecutivo di Alpine – ma anche dalla narrazione attorno alla sua figura. Riverita e idolatrata, dentro il paddock di Monza nell’ultimo week-end così come sui media, dove viene dipinto come una sorta di re taumaturgo, un’eccellenza italiana nel mondo dei motori. Non è questione di competenze e capacità professionali, che nessuno può negare, ma di immagine e opportunità. Soprattutto per la Formula 1, i cui vertici sono spesso descritti come un circolo elitario che gestisce il Circus come se fosse cosa loro. Difficile pensarla diversamente, perché all’interno di questo cerchio magico tutto appare permesso. Lo insegnano proprio il caso di Briatore e del suo ex sodale Pat Symonds, capo degli ingegneri della Renault nell’anno dello scandalo.
Rapido riassunto sul Crashgate: secondo quanto fu ricostruito dalla prima inchiesta, nel Gp di Singapore la coppia Briatore-Symonds ordinò a Nelson Piquet jr., il secondo pilota del team, di andare a sbattere contro un muretto per favorire l’ingresso della safety car e agevolare la rimonta del compagno di squadra Fernando Alonso, poi vincitore della gara. Il fatto fu confessato in tempi diversi sia da Piquet jr. che da Symonds, licenziato in tronco dalla Renault assieme a Briatore una volta scoppiato il bubbone. In base a quelle accuse, Symonds fu squalificato cinque anni dalla Federazione, Briatore fu addirittura radiato. Mentre la scuderia rimase nel Mondiale con la condizionale nonostante gli furono comminati due anni di squalifica. Quando quest’anno Briatore è stato richiamato da un’Alpine Renault in palese difficoltà, riguardo al fattaccio di Singapore ha dichiarato di essere stato assolto. È vero, perché nel 2010 il Tribunal de Grande Instance di Parigi ha annullato le sanzioni a carico suo e di Symonds, ma solo per un vizio procedurale. E la Federazione, all’epoca presieduta da Jean Todt, decise di non andare oltre, ponendo fine alla vicenda con un patteggiamento: divieto per Briatore-Symonds di lavorare nel Circus per tre anni e caso chiuso. Una volta dentro il cerchio magico, nessuno ti butta fuori. Al massimo ti chiede di farti da parte per un po’.
Due i cortocircuiti clamorosi di questa storia. Il primo riguarda Renault, che nel 2024 è tornata a mettere a libro paga una persona legata allo scandalo che le aveva provocato danni pesantissimi, anche in termini economici. Basta ricordare l’immediato scioglimento del contratto del main sponsor Ing con la scuderia non appena lo scandalo è diventato di dominio pubblico. È vero che sono passati 15 anni e tutte le persone al vertice della casa francese sono cambiate (l’attuale CEO Luca De Meo all’epoca lavorava per la Volkswagen), ma si tratta comunque della stessa società. Come ha scritto Edd Straw su The Race: “Quando lo scorso anno l’Alpine ha azzerato la dirigenza tecnica a stagione in corso, era chiaro che il team stava andando allo sbando e necessitava di una figura forte, importante. Una figura alla Briatore. Che però non significa Flavio Briatore stesso, per ovvi motivi. Questo non vuol dire cancellare o nascondere il suo apporto fondamentale nell’ascesa del team fino al gradino più alto della F1. Ma non si può nemmeno ignorare quello che è successo dopo”.
Il secondo cortocircuito arriva dal recente passato. Come scritto, prima del ruolo in Alpine Briatore ha ricoperto il ruolo di ambasciatore per Formula One Group, la società di proprietà di Liberty Media che dal 2016 gestisce il Circus dopo l’uscita di scena di Bernie Ecclestone. Il Presidente e CEO di Formula One Group è Stefano Domenicali, all’epoca di Singapore 2008 team principal della Ferrari, una delle parti lese dall’imbroglio. Anche se in realtà il danneggiato è stato solo Felipe Massa, perché quell’anno la Rossa il titolo Costruttori lo vinse. Ma di fatto anche il team è una vittima della truffa, così come la McLaren di Lewis Hamilton, incolpevole vincitore del Mondiale, e le altre scuderie. Viene da chiedersi per quale motivo Domenicali abbia scelto proprio Briatore. Ma anche perché, se Briatore fosse stato innocente, non abbia mai querelato Piquet jr.
L’ex team principal italiano non era del resto uno stinco di santo, sotto il profilo dell’etica sportiva, già prima. Nel 1994 in Benetton, nell’anno del primo titolo di Michael Schumacher, a causa di un incendio sulla monoposto di Jos Verstappen fu scoperto un sistema non regolamentare per erogare più carburante alle macchine. Risultato? Una multa. La stessa Benetton, secondo un’inchiesta del The Independent, avrebbe utilizzato anche software vietati per aiutare la stabilità delle macchine, dopo che il controllo di trazione era stato abolito per regolamento. Ma la Federazione non ha mai indagato, nemmeno quando la Renault si rifiutò di fornire i dati dell’informatica richiesti anche ad altre scuderie. Si ritorna al discorso del cerchio magico, che vale anche per Symonds, nel cui curriculum post-Crashgate figurano Virgin Racing (come collaboratore esterno ai tempi del ban, anche se per molti agiva di fatto come direttore tecnico ombra) e Williams, prima di diventare Chief Technical Officer della F1, ruolo che ha lasciato quest’anno per entrare nei ranghi del Team Andretti.
Anche nel caso di Symonds, nessun dubbio sul suo profilo professionale di altissimo livello. A livello di immagine, però, la Formula 1 non fa una bella figura se continuano a girare figure coinvolte in quello che è stato definito uno degli scandali peggiori nella storia dei motori. Rimasto per di più – titolo a Massa o meno – impunito.