Diritti

Le destre in Italia hanno un nemico invisibile: il gender nelle scuole

Le destre in Italia hanno un nemico invisibile. Siamo spettatori e spettatrici di questo triste remake de Il sesto senso – pagato con le nostre tasse – in cui i protagonisti, a volte in casa Lega, a volte in casa Fratelli d’Italia, avvertono l’improvvisa esigenza di bandire la teoria del gender dalle scuole. Ma quale gender? Ho la sensazione che questi qui un piede nelle scuole italiane non lo mettano da parecchio.

Come un prete sull’altare, seppur ideologicamente spesso agli opposti, ripetiamo insieme: la teoria del gender non esiste, o almeno non così come la maggioranza di governo la racconta. Esistono invece i gender studies, nei campi dell’antropologia e della sociologia, grazie ai quali a partire già dagli anni 70 (a seguito della rivoluzione sessuale sessantottina che tecnicamente hanno fatto i cosiddetti boomer, non di certo noi) l’essere umano ha sentito il bisogno di esplorare più accuratamente i significati e le sfaccettature della sessualità e dell’identità di genere, anche da un punto di vista scientifico. La teoria del gender altro non è che una macchietta terroristica di tutto ciò, un’interpretazione escatologica secondo cui vorremmo distruggere la famiglia tradizionale, mescolare i generi binari e confondere le idee di bambine e bambini o ragazze e ragazzi.

Chi fa riferimento ai gender studies, però, non ha assolutamente paura dei legami tra uomo e donna, né di un’identità di genere salda e sicura, anzi, promuove una maggiore coscienza ed esplorazione di sé, dei propri pensieri e del proprio corpo, alla ricerca di chi siamo davvero… e se siamo davvero etero e cisgender, evviva!

Abbiamo imparato a guardarci dentro, a conoscere le nostre emozioni e ora potremo avvicinarci per riconoscere chi ci sta intorno, averne cura e rispetto, sostenendo e accogliendo (inizio a farmi paura perché anche questa frase è pericolosamente vicina al Vangelo, non trovate?), poiché abbiamo contezza di quanto possa essere complesso e sfaccettato un percorso di scoperta. Questo ci piacerebbe fare anche nelle scuole, insieme ai più piccoli e agli adolescenti, accompagnarli verso un tipo di consapevolezza empatica.

Il 12 settembre, però, la Commissione Cultura ha approvato una risoluzione proposta dal leghista Rossano Sasso (sottosegretario all’Istruzione) contro il “gender nelle scuole”. Sasso accusa le istituzioni scolastiche di farsi megafono dell’ideologia gender – che, ribadisco, non esiste – promuovendone i modelli di comportamento. Mi chiedo: cosa pensate che facciamo a scuola? Si entra alle 8 e subito corso di make-up per ragazzi; dopo la ricreazione “come tagliare i capelli corti” per sole donne a cura del personale ATA; dalle 11.55 alle 12.50 in aula magna proiezioni a cura di PornHub?

Continuano a chiamarla “ideologia gender” perché non sanno fare i conti con l’esigenza di creare percorsi accurati di educazione all’affettività e alla sessualità che possono (e devono, se chiedete a me) cominciare già dall’infanzia. Significa parlare esplicitamente di sesso a bambini di quattro anni? Solo chi non mastica una briciola di pedagogia potrebbe pensare che un educatore o un’insegnante possano fare una cosa del genere. Ci sono tempi, modi, linguaggi e strumenti per accompagnare a quella consapevolezza di cui parlavo prima, ma queste ridicole risoluzioni continuano a sollevare polveroni in un deserto dove noi non abitiamo, che non ci appartiene.

La scuola è lo spazio in cui i corpi interagiscono sin dalla più tenera età, attraverso il gioco, le parole, il contatto. Se continuiamo a sentirci minacciati dalla scuola come spazio di crescita e di discorso, non possiamo poi piangere quando l’ennesimo “branco” (perché poi così li chiamiamo i ragazzini denunciati da nord a sud) stupra, bullizza, minaccia, incita al suicidio.

Il problema principale è questo: se la teoria del gender non esiste, allora la teoria del gender può essere qualsiasi cosa. Dal parlare di stereotipi fino al tema del consenso, dal leggere un albo illustrato su due orsi che adottano un pinguino a un dibattito in classe sull’uso del linguaggio inclusivo. Quello che si chiede con questa risoluzione, dunque, è di smettere di parlare di qualsiasi cosa sia vagamente legata al corpo, alla sessualità, all’identità, ai rapporti. Eppure, noi ce li abbiamo davanti ogni giorno, ragazze e ragazzi disorientati che si interrogano su di sé e sugli altri, o altri che sanno perfettamente chi sono: gay, lesbiche, trans che hanno bisogno di non sentirsi soli, di essere accolti. Ci chiedono, invece, di cristallizzarci così, in trappola e in silenzio, noi e loro.

E invece io credo in una scuola che non lascia indietro nessuno, anche quando la strada è in salita. A questo punto datemi una parrocchia e facciamola finita.