Una caratteristica comune a tutti i governi di estrema destra che si dicono “sovranisti” è la limitazione della sfera dei diritti. Non solo delle donne, ma anche delle persone Lgbt+. È successo in Ungheria e in Polonia, d’altronde. In Italia l’attuale maggioranza – incapace di ottenere risultati concreti, travolta da scandali e funestata dall’inadeguatezza della sua classe dirigente – non poteva fare eccezione.

Facciamo un passo indietro: ai tempi del ddl Zan, io ricordo molto bene Giorgia Meloni all’opposizione. E cosa urlava verso i banchi della sinistra, con l’eleganza e la gentilezza che la contraddistinguono: i veri problemi erano altri. Ora che è al potere, la sua maggioranza passa il tempo a pensare alla comunità arcobaleno. Poco prima, in estate, si voleva invece vietare di declinare al femminile i nomi di professione. Quando si dice “le priorità”.

Leggendo la risoluzione, essa “impegna il Governo a promuovere un adeguato confronto con tutti i soggetti interessati sulle tematiche dell’educazione affettiva e sessuale anche al fine di adottare linee guida valevoli per tutto il sistema nazionale d’istruzione che ribadiscano la necessità che lo spazio scolastico sia caratterizzato da un’adeguata neutralità, in qualsiasi forma di insegnamento scolastico e quindi assicurino che tutte le attività proposte nelle scuole del Paese rispondano a criteri di rispetto e di libertà che favoriscano la costruzione di un sapere critico per gli studenti escludendo che l’insegnamento scolastico venga utilizzato per propagandare tra i giovani, in modo unilaterale e acritico, modelli comportamentali ispirati alla cosiddetta ‘ideologia gender’“.

Oltre che illeggibile, questo testo è anche abbastanza sciagurato. Oltre che connotato da rara sciatteria politica. Ma andiamo per ordine.

È sciagurato perché dice una grande falsità quando parla di spazi scolastici neutrali. Ebbene, su certi temi la scuola non può essere neutrale. Tra razzismo e inclusione, tra sottomissione della donna e cultura dell’uguaglianza non può esserci neutralità. Tra la mafia e la cultura della legalità non può esserci neutralità. Tra fascismo e antifascismo, nemmeno. La scuola è al contrario la sede in cui si formano le coscienze. Compito della scuola è fornire tutti gli strumenti critici perché chi apprende possa avere tutti gli elementi per sviluppare in piena autonomia la sua specificità.

Non può esserci neutralità nemmeno di fronte ai sentimenti d’odio contro le persone Lgbt+. Tra omotransfobia e tutela di minori e adolescenti, la scuola deve scegliere. Per quanto possa sembrare banale, nella lotta tra il male e il bene, la scuola deve scegliere il bene. E il bene sta sempre in quelle scelte consapevoli che mirano al benessere quanto più ampio della popolazione studentesca. Fatta da adolescenti eterosessuali di pelle bianca e fede cristiana, ma anche da persone di pelle nera, di religione diversa da quella maggioritaria, non eterosessuali, transgender, non binarie, con disabilità, ecc. Qualsiasi cosa possa ferire chi ricade nell’etichetta della “diversità” necessita di un intervento. I territori neutrali sono invece quegli spazi in cui, in buona sostanza, si permette al male di agire indisturbato. Di non prendere posizione di fronte a situazioni e comportamenti devianti.

C’è poi un ulteriore aspetto: bisognerebbe stabilire una volta per tutte cosa si intende per “gender”. Insegnare, in letteratura, che Patroclo e Achille erano amanti è “ideologia gender”? O in storia, parlare del fatto che esistevano relazioni omosessuali nel mondo antico o che, più recentemente, le donne hanno lottato per il diritto di voto? È gender se qualche docente di biologia parla di cromosomi e spiega cos’è l’intersessualità? In educazione civica, spiegare che esistono anche le famiglie omogenitoriali, e che ci sono le unioni civili per le persone dello stesso sesso è ancora “gender”? Fornire una risposta a quella mia studentessa che qualche anno fa mi ha chiesto cosa fossero i pansessuali, perché il personaggio della sua serie tv preferita si era definito così, è stato indottrinamento “gender”? Sarebbe interessante avere risposte in merito.

Si ha invece la spiacevole sensazione che si agiti questa fantomatica parola per creare allarmismo su qualcosa che non esiste: si agita infatti il fantasma di un’ideologia non meglio identificata portata avanti da chissà chi nelle scuole, che obbligherebbe ragazzi e ragazze a “cambiar sesso” o a “diventare omosessuali”. E che questa raccomandazione sia il primo passo per approvare, in seguito, leggi che limitino la libertà della comunità arcobaleno.

A destra, con tutta evidenza, non hanno fatto i conti con alcuni dati di realtà: il primo, non siamo un paese in cui la visibilità è maggiore che altrove, dove le leggi antigay passano anche grazie a una certa ignoranza della società civile. Il secondo: in Italia c’è una comunità Lgbt+ che, pur con tutte le sue contraddizioni, è molto combattiva. Insomma, possono anche provare a trasformarci nella dependance di Orban. Che ci riescano è un altro paio di maniche.

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