di Luisa Bizzotto
Il lavoro è una delle componenti che occupa maggiormente la vita di tutti noi. Per questo motivo è imprescindibile e necessario che questa parte sia bilanciata con tutte le altre attività giornaliere.
Dopo la pandemia, la concezione del lavoro è nettamente cambiata. I giovani d’oggi sembrano non accettare più situazioni massacranti e ambienti svalutanti. Secondo un report di Area studi Legacoop e Ipsos, i ragazzi temono più di tutto di essere sfruttati e di non riuscire ad avere una relazione distesa con i colleghi. I giovani dai 18 ai 34 anni vorrebbero avere una giusta remunerazione, fare esperienza ed essere apprezzati. Se si considera una scala valoriale, il lavoro occupa solamente l’ottavo posto in lista.
Secondo lo studio, il 25% degli uomini e il 29% delle donne guardano prima di tutto la Ral, per poi concentrarsi su aspetti come la possibilità di avere tempo libero e orari flessibili. Le mission principali dei giovani si riassumono poi per il 24% nella lotta al cambiamento climatico e nell’importanza della gestione della sanità, per poi virare per il 21% verso la riduzione della disuguaglianza sociale.
Dopo il Covid, il timore di un possibile burnout è talmente alto che gran parte degli appartenenti alla GenZ dichiara ad oggi di essere disposto a cambiare lavoro. Ciò significa che lo stress è un ricordo? Così non sembra proprio. L’ansia continua ad avere un ruolo chiave nelle vite lavorative. La pandemia ha contribuito a cambiare radicalmente l’assetto lavorativo, introducendo meeting online e smart working.
Secondo quanto è emerso, 6 milioni di italiani soffrono di stress sul lavoro e, di questi, il 28% presenta stress derivante dall’utilizzo della tecnologia e il 17% da overworking. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro hanno redatto un rapporto secondo il quale l’orario di lavoro prolungato è stato responsabile di 745.000 decessi per ictus e malattie cardiache nel 2016. Dal 2000 queste patologie sono aumentate del 29%.
Lo stress sembra aver raggiunto livelli sorprendenti e dalle ultime notizie sembra aver “contagiato” anche i robot. Proprio in Corea del Sud, paese noto per la presenza di androidi, nella città di Gumi un robot si è “suicidato” improvvisamente. In modo del tutto inspiegabile, l’automa che si occupava del trasporto di documenti ha iniziato a ruotare su se stesso per poi lanciarsi dalle scale.
Quasi un anno fa l’Istituto Scientifico Eugenio Medea ha proprio considerato l’idea, invece, di sfruttare i robot per creare un prototipo in grado di supportare il lavoratore e di prendersi carico della salute mentale dell’uomo. Perciò verrebbe quasi da chiedersi se è la tecnologia che può aiutare l’uomo o se i ritmi del nostro quotidiano siano in grado di distruggere la tecnologia stessa.