Il rapportone di Draghi e del suo team sulla competitività dell’Unione europea terrà occupati commentatori e studiosi per un po’ di tempo, data la sua autorevolezza e l’urgenza dei tempi. Al di là di alcuni spunti specifici il succo della narrazione è che il destino dell’Europa sembra essere caratterizzato da un mesto declino, almeno sul piano economico e demografico. La risposta dell’economista a questa crisi è abbastanza semplice: per diventare protagonisti a livello internazionale dobbiamo fare di più e meglio dei nostri competitor globali che ci stracciano in produttività. Cioè sono più bravi nel produrre beni e sevizi. Questi concorrenti sono la Cina e gli Usa, dimenticando però Giappone e India, ma questo è un punto secondario.

Per quanto riguarda la ricetta proposta, anche qui non ci sono sorprese. La crescita economica è legata agli investimenti. I nostri concorrenti sono più bravi semplicemente perché più smart, cioè investono di più e nei settori più avanzati. Il team Draghi poi quantifica il gap e indica la somma necessaria per colmarlo, più di 800 miliardi.

Investire di più pone però due problemi: a) da dove prelevare le risorse e b) in quale direzione spendere i soldi. Partiamo dalla seconda questione. Gli investimenti si traducono in produttività all’interno delle regole del sistema economico di riferimento. Quali regole dovremo seguire, quelle del modello cinese o quelle del modello americano? La risposta sembra scontata ma non lo è. Il modello cinese è per noi improponibile, naturalmente. In primo luogo sul piano dei valori liberali che lì sono sacrificati in nome dell’interesse collettivo. L’individuo è schiacciato dal sistema. Oltre a ciò anche sul piano economico si stanno mostrando le crepe di un modello statalista basato sui sussidi alle imprese e sulle esportazioni. La bolla immobiliare cinese è esplosa e il nuovo protezionismo economico non è da sottovalutare.

Dobbiamo quindi abbracciare, come europei, il modello iper individualistico americano? Anche qui ci sono notevoli problemi. L’individualismo americano, condito con tanto di eccezionalissimo, non sembra una buona prospettiva. Qui l’individuo non è schiacciato dallo Stato, ma dal puro mercato con le sue logiche perverse con il risultato che la società americana è al collasso. Circa 100 milioni di americani hanno elevati debiti sanitari, 40 milioni devono ripagare debiti studenteschi, milioni vivono in povertà e non riescono a pagare l’affitto, e la lista delle piaghe sociali potrebbe continuare coinvolgendo milioni di individui. Oltre a ciò, gli incrementi di produttività ai quali il team Draghi guarda avidamente, dove sono finiti? La ricchezza è stata accumulata negli ultimi decenni dall’1% (o meno) della popolazione fortunata, magari perché aveva un prestigioso titolo universitario. L’alta produttività non ha prodotto una società migliore ma un contesto sempre più diseguale con le conseguenze che vediamo anche nel dibattito elettorale presidenziale.

La nazione europea sta per così dire in mezzo, con varie gradualità, a questi due capitalismi estremi e non credo che le cose vadano proprio male per i cittadini europei, almeno in un’ottica comparata. La decadenza paventata da Draghi è ancora lontana.

Draghi guarda al sistema americano e propone di riprendere quel modello produttivo che negli anni Sessanta e Settanta gli economisti marxisti chiamavano il sistema militare-industriale americano. Sistema basato su di una forte spesa militare, che è arrivata anche al 6% del Pil, al servizio dell’imperialismo economico. Questa enorme spesa aveva anche delle ricadute tecnologiche in campo civile come ampiamente dimostrato. Ma l’idea era quella, alla fine della guerra fredda, di ristabilire l’egemonia politica degli Usa. È questo il progetto di Draghi quando propone di aumentare la spesa per la sicurezza in maniera consistente, cioè quello di puntare su un imperialismo militare ed economico europeo con una riabilitazione piena del vecchio marxismo? Se è così, avremo una terza potenza imperialista dopo Usa e Cina, la fortezza Europa. Si tratta però di una scelta politica che non ha nulla a che fare con l’economia. Produrre arsenali militari non migliora, di per sé, la produttività.

Come finanziare allora gli 800 miliardi della spesa per investimenti? Il rapporto propone di creare un debito comune, sul modello del Recovery. Idea difficilmente realizzabile per molti motivi, politici ma anche pratici. Si intravede però qua e là un possibile piano b. Seguendo il modello americano il team Draghi propone implicitamente una forte austerity della spesa sociale. In fondo, perché i lavoratori europei dovrebbero avere 5 settimane di ferie o più e quelli americani solo una? Anche questo riduce e non di poco la produttività. Perché gli europei dovrebbero godere di una sanità gratuita e di pensioni decorose? Tutto questo minaccia il mantra della produttività.

Insomma la via che mi pare di vedere in filigrana è sempre quella neoliberista: meno spesa sociale, meno regole per le imprese, meno tasse sui profitti. Che tutto questo porti alla prosperità e all’efficienza è ormai ampiamente smentito dai fatti, anche e soprattutto negli Usa, ma ritorna sempre ottusamente nei racconti degli economisti mainstream. Senza considerare le implicazioni politiche di questa austerity fiscale che ha già gonfiato in Europa le proteste populiste.

Che fare allora per salvare la democrazia, la libertà, la pace e così via, i valori che il Draghi team vuole preservare e potenziare, e mantenere la capacità economica dell’Europa? Chiamare in aiuto l’industria delle armi non credo sia una buona idea. Penso invece che bisognerebbe uscire dalla retorica di un catastrofismo creato ad arte per aprire la strada al liberismo individualistico. Occorre probabilmente una vera manutenzione dello stato sociale, a partire dalle questioni fiscali europee ed internazionali, ma per migliorare e non per abbattere. È strano che mentre Harris vuole portare l’economia americana verso un modello europeo, i nostri tecnocrati esaltino quello americano.

Per capire dove dovrebbe andare anche l’Europa, più che il rapporto Draghi, una lettura più utile potrebbe essere il libro La crisi del capitalismo democratico di Martin Wolf che prospetta un capitalismo democratico, soprattutto ora europeo, che non possiamo sacrificare sull’altare dei miti economici come quello neoliberista della produttività (ora armata) a tutti i costi.

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