Come in un film ben costruito su colpi di scena imprevedibili, mentre tutto il mondo era in preda all’agitazione per la riunione degli Oasis, sfruttando l’onda di un clamore montato in ben tre lustri di proverbialmente colorite schermaglie dialettiche tra i fratelli Gallagher, stava per accadere una reunion ben più spiazzante e iconica.

Parliamo sempre di un gruppo di Manchester, allo stesso modo scioltosi per le crescenti tensioni tra “fratelli” (stavolta artistici e non di sangue), una band che è stata il grande precedente del già citato duo simbolo degli anni 90, ma con un impatto culturale, per profondità di pensiero e ruolo generazionale, senza dubbio più significativo e duraturo.

Parliamo, ovviamente, dei The Smiths. Proprio in queste ore, col suo stile abitualmente sospeso tra eleganza, sarcasmo e rancore, l’ex-frontman Morrissey ha accusato Johnny Marr, la mente musicale del gruppo, di bloccare tutte le attività collegate al nome del gruppo, proposte dalla Warner Record, tra cui: un’antologia intitolata Smiths Rule OK!; una riedizione dell’album e singolo Hand In Glove, epocale brano d’esordio della band; un cofanetto deluxe del primo album per celebrarne il 40° anniversario; una ristampa in 7 pollici di This Charming Man, brano simbolo del gruppo, grazie alla celebre apparizione a Top of the Pops in cui Morrissey roteava a mo’ di arma un mazzo di gladioli.

Qualche settimana fa, per l’appunto, sempre Moz, com’è appellato affettuosamente dai fan, aveva rivelato che Marr aveva rifiutato un’offerta particolarmente lucrosa per accettare l’attesa reunion, che sarebbe dovuta culminare con un tour mondiale nel 2025.

Ma perché The Smiths sono così importanti?

Per ciò che mi riguarda, l’ascolto quotidiano dei The Smiths è un prezioso esercizio intellettuale: nella già citata apparizione televisiva Moz incarnò il paradosso della sua poetica, ovvero la fragilità come fierezza, la sensibilità come un’arma minacciosa per le convenzioni dominanti. Resi cantabili dai riff semplici e memorabili di Marr, i versi di Morrissey entrano nelle mente come mantra irriverenti: stentorei monumenti alla contraddizione, all’umorismo come sentimento del contrario, al diritto d’essere l’ingranaggio che inceppa il sistema. Non a caso, il suo autore di riferimento è sempre stato Oscar Wilde, maestro supremo dell’eleganza, del paradosso, della rivendicazione fiera della propria diversità.

Negli ultimi anni, in maniera diversa ma non del tutto distante dal nostro Giovanni Lindo Ferretti, la parabola di Moz riassume il fallimento della rivolta di quegli anni: da manifesto vivente della protesta anti-thatcheriana e anti-monarchica, si è sempre più spostato su posizioni vicine al populismo reazionario. Forse, in questo c’è da trovare la causa del rifiuto di Johnny Marr alla prezzolatissima reunion.

Per chi volesse scoprire l’importanza del gruppo, oggi esce per nottetempo uno studio completo e ineludibile: Charming men. La storia degli Smiths di Fernando Rennis. Per chi, come il sottoscritto, da anni legge qualsiasi cosa sulla band di Panic, il libro è un luna park di riferimenti, stimoli, ricordi, dettagli preziosi e considerazioni illuminanti. Ma credo sia, soprattutto, un testo fondamentale per chi volesse scoprire il cosmo di citazioni, atmosfere e suggestioni creato da Moz e Marr, senza scordare l’apporto del bassista Andy Rourke e Mike Joyce, essenziali per definire il sound e il ritmo della band.

Charming men. La storia degli Smiths segue in maniera cronologica le vicende personali e pubbliche della band, ritmando la narrazione, nei titoli dei capitoli, con i titoli delle canzoni più importanti delle diverse fasi della carriera. Ma è nella scrupolosa ricostruzione, filologicamente accurata, del contesto sociale del periodo, che, forse, si trova il pregio principale dell’opera di Rennis: la capacità di restituire in maniera convincente l’importanza e l’impatto dell’avvento della band in un momento storico così particolare (l’ascesa della Thatcher nei primi anni ‘80 e le conseguenze sulle condizioni sociali interne e sugli equilibri internazionali).

Come scrive l’autore nelle prime pagine del testo: “Scavare nella storia degli Smiths vuol dire sporcarsi le mani con il quotidiano britannico degli anni Ottanta, rinvenendo tracce del passato musicale e sociale del paese. Mentre il synth pop cavalcava le classifiche, la band di Manchester (…) con le sue prese di posizione, rappresentava un riferimento per la cultura giovanile di opposizione”.

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