Quando la Turchia all’inizio del mese ha presentato la domanda ufficiale per diventare membro del gruppo “economico” Brics, il primo paese a commentare la richiesta è stata la Russia, pur essendo in termini economici molto meno rilevante della Cina, e anche politicamente. Ma la potenza capofila dei Brics, ovvero Pechino, da tempo utilizza Mosca per perseguire i propri interessi in ambito geoeconomico e, pertanto, se il Cremlino manda a dire al presidente turco che l’adesione deve attendere, è perchè soprattutto il Dragone lo vuole tenere sulla corda dell’attesa. Il portavoce del ministero degli esteri cinese non ha nemmeno menzionato la Turchia per nome quando ha commentato il suo desiderio di adesione ai Brics, affermando solo che Pechino era interessata a lavorare con i paesi desiderosi di unirsi.

L’interesse di Ankara per i Brics, acronimo dei suoi membri fondatori Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, non è una novità. Per più di un anno prima di presentare la domanda, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ripetutamente espresso la propria disponibilità ad entrare nel gruppo. Spesso considerato un’alternativa al G7, guidato principalmente da nazioni occidentali, la crescente popolarità dei Brics rappresenta un cambiamento significativo nelle dinamiche di potere globali. Se la candidatura della Turchia avrà successo, diventerebbe il primo alleato della NATO ad entrare nel blocco.

Tuttavia, gli addetti ai lavori di Ankara trovano sconcertanti le dichiarazioni della Russia e le fughe di notizie sui media circa richiesta della Turchia. Le dichiarazioni russe dallo scorso giugno hanno solo aumentato la confusione. “Siamo anche propensi a credere che la Russia giochi con questa questione per segnare qualche goal in Occidente e al contempo aiuti la Cina a tenerci in sospeso per non affrontare la questione della persecuzione degli Uygury”, ha rivelato a condizione di anonimità un funzionario turco. Gli uygury rappresentano la cospicua maggioranza musulmana (circa 25 milioni di persone) ed etnica autoctona della regione dello Xinjiang nel nord-ovest della Cina. Due secoli fa avevano una propria repubblica autonoma poi finita sotto il giogo dell’Unione Sovietica e nel 1949 data a Mao da Stalin in cambio di altre zone di confine cinesi.

Se la Russia, infatti, volesse davvero la Turchia membro a pieno titolo dei Brics – come aveva lasciato intendere – perché il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov pochi giorni fa ha risposto al ministro degli Esteri turco Fidan dicendo che i Brics non sono interessati ad espandersi? Si domandano i membri del partito islamista di Erdogan alla guida del governo turco. Sebbene i Brics non abbiano un leader permanente, la Russia ha recentemente assunto la presidenza e ha in programma di ospitare un summit a Kazan dal 22 al 24 ottobre. La notizia che Erdogan si sarebbe unito al summit è stata annunciata dal Cremlino e finora non è stata smentita, nè da una parte nè dall’altra. La suspense è stata alla fine quasi uccisa da Lavrov, che ha detto ai media russi la scorsa settimana che il summit di Kazan avrebbe trattato l’argomento dell’espansione, ma non nel modo in cui Ankara aveva sperato e ha spiegato che i Brics avrebbero creato una categoria chiamata “stati partner” separata dai membri a pieno titolo.

Lavrov ha poi continuato a insinuare che le regole e i valori dei Brics potrebbero impedire ai membri di far parte di altre associazioni o blocchi, come la Nato – di cui la Turchia è membro storico- contraddicendo le precedenti dichiarazioni di un alto funzionario turco. I segnali contrastanti di Lavrov hanno aumentato i sospetti che la Russia (e Cina) stiano di fatto ricattando subdolamente il Sultano – così viene indicato dai suoi detrattori Erdogan – , a propria volta maestro assoluto dell’arte dei ricatto e del doppiogiochismo.

Molti sostengono l’adesione della Turchia perché può ostacolare la Nato, e lo fanno anche i russi, ma dopo averla manipolata secondo i propri scopi, specialmente sul versante ucraino, visto che Ankara è ancora mediatrice per quanto riguarda almeno l’esportazione di grano attraverso il Mar Nero. A mettere i bastoni sul percorso scelto da Erdogan ci si è messa anche l’altra potenza dei Brics, l’India del premier ultra nazionalista, induista e anti musulmano Nahrendra Modi. Il ministero degli esteri indiano, ha informato i giornalisti la scorsa settimana che Nuova Delhi che avrebbe agito per consenso. Sidhant Sibal, noto giornalista indiano di affari esteri, ha tuttavia sottolineato che anche gli aspetti bilaterali, come la tiepida relazione di Ankara con Nuova Delhi, svolgono un ruolo nel processo. Inoltre, la questione della domanda potrebbe mettere la Turchia in una posizione difficile, soprattutto se i Brics dovessero far aspettare la Turchia per molti anni per l’adesione completa.

Ankara attende l’adesione all’UE dagli anni ’60 e se i Brics dovessero riservare lo stesso trattamento al governo di Erdogan, sarebbe davvero un doppio schiaffo e non farebbe che aumentare le frustrazioni del pubblico turco. “Sebbene i Brics siano un importante raggruppamento internazionale, non riescono a essere una forza coesa e unita come l’UE”, ha affermato Ozgur Unluhisarcikli, analista del think tank German Marshall Fund. “In quanto tale, non può fungere da alternativa all’UE per la Turchia, almeno per ora”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

#Noustoutes, manifestazioni in tutta la Francia a sostegno di Gisèle Pélicot, drogata dal marito e stuprata da decine di uomini

next
Articolo Successivo

Uk, la paralisi del servizio sanitario nel rapporto del governo Starmer: “Tempi d’attesa esplosi, passi indietro nella cura del cancro”

next