Fermeremo quest’industria della morte”. L’operatore sociale Nino Rocca non si stanca di ripeterlo. Il 5 dicembre 2020 Noemi Ocello è morta tra le sue braccia: aveva solo 32 anni e un figlio di 5, voleva trovare un lavoro e cambiare vita liberandosi dal crack. Ma l’aiuto del Servizio per le Dipendenze non è bastato. Giulio, invece, ha iniziato a farsi a 14 anni. È morto quando ne aveva 19, ucciso da un’overdose. Il papà di Giulio, Francesco Zavatteri, ancora oggi non riesce a darsi una spiegazione. Poi c’è Pina Lupo, che per togliere il figlio dalla strada si è ritrovata a doverlo denunciare, più volte. Noemi e Giulio sono solo alcune delle vittime dell’ultima strage di Palermo. Un’ecatombe silenziosa e micidiale: in Sicilia, infatti, si è tornati a morire di droga.

Si chiama crack ed è considerata la cocaina dei poveri: venduto anche a dosi da cinque euro nei vicoli, nel capoluogo siciliano sta ormai sostituendo l’uso di marijuana e hashish, consumando le vite di centinaia di giovani. Girando per il centro storico della città non è difficile imbattersi in ragazzi che ne fanno uso con pipette e siringhe, un fenomeno in sensibile aumento soprattutto dopo la pandemia. “Registriamo numeri superiori al periodo in cui abbiamo avuto l’epidemia di eroina“, racconta il dottor Giampaolo Spinnato, direttore dell’Unità operativa complessa Dipendenze patologiche dell’Asp Palermo.

Ma se da una parte i numeri dei tossicodipendenti crescono, dall’altra diminuisce l’età media dei consumatori: nel 2017 le stime dell’Asp raccontavano di giovani tossici che cominciavano a farsi tra i 16 e 26 anni. Una forbice che oggi si è abbassata fino ai 10-12 anni. A preoccupare, anche i tanti – troppi – neonati ricoverati in ospedale per intossicazioni dovute all’ingestione di sostanze stupefacenti: vuol dire che vivono in abitazioni dove la droga è a portata di mano. O, ancora peggio, che le madri continuano a farsi anche quando sono in gravidanza. Le stime del tribunale dei minori parlano di due casi ogni sette giorni in tutto il distretto tra Palermo, Trapani e Agrigento. Sempre più diffusi, inoltre, i casi di ragazze costrette a prostituirsi per avere una dose. Un sistema perverso, su cui Cosa nostra continua a guadagnare.

Un meccanismo che ha come epicentro i quartieri Sperone e Ballarò , dove si moltiplicano le case del crack: il capomafia fa arrivare la cocaina dalla ‘ndrangheta, le mamme cucinano gli scarti della polvere bianca, li trasformano in crack che viene poi venuto dai ragazzini, a pochi passi dal celebre mercato del centro storico.

E mentre i numeri dei tossicodipendenti aumentano, i tagli alla Sanità hanno indebolito il sistema assistenziale. Pesano le inadempienze della Regione Siciliana, incapace nel garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, a causa dell’assenza di una normativa che ne preveda le strutture e i fondi da stanziare. Così a elaborare una proposta di legge ci hanno pensato gli studenti del Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo guidati dalla professoressa Clelia Bartoli. A chiedere l’approvazione della norma è stato l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, che già nel luglio dello scorso anno aveva consegnato simbolicamente all’Assemblea Regionale Siciliana il progetto di legge scritto dai ragazzi. Poi è tornato sull’argomento nella notte più importante per la città, quella tra il 14 e il 15 luglio, in cui si celebra “il Festino” in onore della santa patrona di Palermo, Rosalia, che nel 1625 liberò il capoluogo siciliano dalla peste. “Nessun dorma”, ha urlato monsignor Lorefice alla fine della processione, denunciando ancora una volta come il buco nero del crack stia inghiottendo la città. Questa volta le sue parole sembrano aver fatto breccia, dato che il provvedimento dovrebbe essere approvato all’Ars entro fine settembre.

*Testo modificato da redazione online alle ore 12 del 14 settembre 2024

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