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Gaza, 640mila bimbi vaccinati contro la polio. Il medico di Msf: “Orari di tregua rispettati, ma l’Idf ha colpito famiglie con figli mentre rincasavano”

Dall’alba al pomeriggio. Tutto in 9 ore. La campagna antipolio per proteggere 640mila bambini a rischio nella Striscia di Gaza è terminata mercoledì. Il messaggio secondo cui le forze israeliane abbiano concesso il tempo necessario alle operazioni di somministrazione senza incidere militarmente su obiettivi così sensibili è stato dato per buono e, seppur in parte, è così. Negli accordi redatti e controfirmati, Tel Aviv aveva sottoscritto la garanzia oraria; 9 ore, appunto, dalle 6 del mattino alle 15, in cui le armi e i bombardamenti sarebbero proseguiti, altrove ma non nelle immediate vicinanze dei centri sanitari individuati per le vaccinazioni. Una tregua a tempo e per certi versi regolata dalle indicazioni satellitari che escludevano dal pericolo determinate aree del sottile lembo di terra martoriato da quasi un anno.

Fino a qui le regole ufficiali, poi la realtà è un’altra cosa: “Alcune famiglie che avevano portato i loro bambini nei punti di vaccinazione attivati, da nord a sud di Gaza, sono state colpite durante le operazioni militari israeliane mentre stavano rientrando nei loro domicili”, racconta a ilfattoquotidiano.it Federica Iezzi, chirurgo di guerra di Medici Senza Frontiere, è operativa da inizio agosto all’interno dell’ospedale da campo allestito a Deir el Balah, nel centro della Striscia. “A parte i nuclei che hanno trovato rifugio attorno al nostro ospedale da campo – prosegue Iezzi -, tanti hanno dovuto viaggiare da zone oggi remote e farlo senza le presunte comodità di un tempo, tra cui auto o bus. È durante questi viaggi di andata e di ritorno, con il cessate-il-fuoco disattivato, che tante famiglie con bambini al seguito sono state colpite. Vittime e feriti poi portati anche nel nostro field hospital. Dall’esterno non è ben chiaro quale sia la situazione dentro la Striscia dove, al netto delle distruzioni, sembra di essere tornati indietro di quasi un secolo. A Gaza non c’è più un goccio di carburante, si gira coi carretti trainati dagli asini o a piedi e per coprire determinate distanze ci possono volere delle ore. Sono stata qui in missione altre volte prima del 7 ottobre, sempre con Msf, e posso raccontare anche visivamente come le cose siano cambiate diametralmente rispetto al passato. La vecchia Gaza non esiste più”.

Oltre alla raffica quotidiana di persone ferite da armi da fuoco o schegge di bombe e missili, ha partecipato anche alla vaccinazione antipolio iniziata il 1° settembre. Secondo le cifre prodotte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, a Gaza sono arrivate 1,6 milioni di dosi di siero antipolio e ne sono state usate 640mila. Dall’1 al 4 settembre coperta l’area territoriale del centro della Striscia, dal 5 all’8 la parte meridionale e dal 9 all’11 il nord di Gaza. La cifra delle 640mila somministrazioni è stata suddivisa geograficamente come segue: 84.500 dosi nel nord di Gaza, 76mila Gaza City, 227mila Deir el-Balah, 236.900 Khan Yunis, 15mila Rafah.

Tornando alle operazioni militari, un ceasefire tutto da spiegare: “La mattina, all’alba, i bombardamenti erano a tappeto durante la campagna. Da qui si sentivano a breve distanza i boati, la terra tremava, poi dopo le 6 tutto attorno calava una sorta di calma e gli echi delle esplosioni si facevano più lontani. Insomma, sotto questo profilo l’accordo di non colpire i centri di vaccinazione è stato rispettato, ma fuori era il caos e, come detto prima, le famiglie dei bambini vaccinati a ridosso dell’orario di fine campagna e cessate-il-fuoco che dovevano rientrare a casa sono diventate dei bersagli”.

Oltre alla presunta ‘tregua umanitaria’ garantita dalle Israeli defense force, un altro messaggio distorto è passato raggiungendo l’opinione pubblica internazionale. È la stessa Iezzi a spiegarcelo con dovizia di dati e particolari: “Prima dei fatti del 7 ottobre 2023 – spiega a ilFatto Quotidiano.it il medico abruzzese che in Italia svolge il ruolo di cardiochirurga pediatrica per l’azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche di Ancona – la percentuale della popolazione in età pediatrica vaccinata contro la poliomielite in alcune aree della Striscia sfiorava il 99%. È stato fatto capire, erroneamente, che il livello di cure e di protezione dalle malattie, prima dell’azione di Hamas e della reazione israeliana a Gaza, fosse scadente. Non è così. La campagna vaccinale è stata attivata adesso perché in quasi un anno il mancato accesso, o comunque contingentato, di medicinali e di materiali in genere a Gaza attraverso i varchi ha prodotto una serie di conseguenze. Tra queste anche il drastico calo di bambini protetti contro la polio, passati appunto dalla quasi totalità a sotto l’80%. Ecco perché l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo in piedi tutto questo. Un quinto dei bambini durante l’ultimo anno non è stato protetto contro la polio perché i vaccini non sono arrivati a causa dei blocchi e perché, come ricordato in precedenza, non è più così semplice muoversi dentro la Striscia. Senza dimenticare un altro dettaglio, ossia la catena del freddo andata completamente out per mancanza di carburante, i generatori a secco e i continui black-out di energia. Tutto questo lo riassumerei come un altro step verso l’annientamento del sistema sanitario in vigore a Gaza”.

Medici Senza Frontiere ha supportato le operazioni vaccinali a livello logistico nei centri di competenza sanitaria, fornito materiali e sostegno alle popolazioni. Esaurita la campagna antipolio il peggio potrebbe ancora non essere passato sul fronte vaccinale nella Striscia: “Considerata la situazione igienico-sanitaria, davvero devastante a causa di un sistema idrico ormai al collasso e anche per tutto ciò che abbiamo ricordato sin qui – chiosa Iezzi -, credo che la gente di Gaza debba prepararsi ad altre epidemie, a partire dal colera. Il flusso di aiuti per la popolazione civile, regolato da Israele ai varchi come Kerem Shalom, fa sì che pure i beni di prima necessità, tra cui i prodotti per la cura della persona arrivino col contagocce e ciò non aiuta. In questa guerra c’è un termine che mi ha colpito, ossia double use, doppio uso, con cui Israele analizza e divide le cose che possono e che non possono entrare a Gaza. Oggetti nati con una funzione in grado di poter essere utilizzati con altri fini secondo Tel Aviv, dal sapone appunto ai macchinari per le radiografie che infatti non arrivano negli ospedali”.