“Il dibattimento ha dimostrato che almeno dal 14 agosto il ministro Matteo Salvini avesse l’obbligo di fornire il porto sicuro, e il diniego avvenne in totale spregio delle regole“. Quindi la conclusione della requisitoria: “Condannate il ministro a 6 anni di reclusione per aver sequestrato i 147 migranti a bordo dell’Open Arms e per tutti i capi di imputazione”. Con queste parole dell’aggiunto Marzia Sabella, la Procura di Palermo ha formulato la richiesta di pena per l’allora ministro dell’Interno, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito, cinque anni fa, lo sbarco dalla nave della ong spagnola di 147 migranti a Lampedusa. Nell’aula bunker del carcere Pagliarelli i magistrati hanno messo in fila i fatti e riassunto le responsabilità che nell’agosto 2019 portarono le persone soccorse in mare a essere tenute a bordo dell’imbarcazione senza poter mettere piede a terra per 19 giorni, riuscendo a farlo solo dopo l’intervento della Procura di Agrigento.
Salvini: “Colpevole di aver difeso l’Italia”. Meloni: “Precedente gravissimo” – “Rifarei tutto: la difesa dei confini dai clandestini non è reato. Avanti tutta, senza paura”, ha scritto sui social il vicepremier e leader della Lega, che non si è presentato in aula. La vicenda, ha aggiunto Salvini, “è una responsabilità politica della sinistra, che ha deciso di vendicarsi del sottoscritto mandandomi a processo. Una mossa disperata, di chi non sa vincere nelle urne e allora prova a eliminare i rivali per via giudiziaria. Un film già visto con Silvio Berlusconi e che stiamo vedendo – per certi aspetti – perfino con Donald Trump”. “La Lega ha già previsto per i prossimi due fine settimana la mobilitazione in centinaia di città italiane – con tanto di raccolta di firme – per sostenere che il processo di Palermo non è processo al segretario della Lega o all’ex ministro, ma un processo all’Italia e alla coerenza di chi ha fatto quello che aveva promesso”, ha detto il ministro dei Trasporti. Che più tardi sui social ha rincarato: “Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per aver difeso i confini del proprio Paese. L’articolo 52 della costituzione italiana recita che la difesa della patria è un sacro dovere del cittadino. Mi dichiaro colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola”. Sulla stessa linea Giorgia Meloni: “È incredibile che un ministro della Repubblica Italiana rischi 6 anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della Nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini”, ha scritto su X la presidente del Consiglio, scatenando la reazione delle opposizioni. Anche perché subito dopo ha aggiunto: “Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo“. Non poteva mancare il sostegno di Elon Musk via X, con gli usuali toni sopra le righe: “Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per 6 anni, questo è pazzesco”.
La ricostruzione dell’accusa – In aula i magistrati di Palermo hanno ricostruito i fatti. “È pacifico che qui di atto politico non c’è nulla – ha spiegato il sostituto procuratore Geri Ferrara durante la requisitoria -. Sono stati compiuti atti amministrativi, il rilascio di un Pos (“Place of safety“, in gergo tecnico, ovvero il luogo sicuro in cui viene fatto sbarcare chi viene soccorso in mare, ndr) è un atto amministrativo, gli atti politici sono caratterizzati da requisiti ben precisi”. “La persona in mare è da salvare – ha proseguito il magistrato, ed è irrilevante la sua classificazione: migrante, componente di un equipaggio, passeggero. Per il diritto internazionale della convenzione Sar (“Search and rescue“, in italiano “ricerca e salvataggio”, ndr) anche un trafficante di essere umani o un terrorista va salvato poi se è il caso la giustizia fa il suo corso“.
In questo contesto “è solo la terraferma a essere un Pos, il posto più sicuro“, ha spiegato Ferrara. “Normalmente il Pos è il porto più vicino, però questo principio è stato modificato nel corso degli anni. Allora dobbiamo rispondere a due domande: la nave di salvataggio può essere considerata un luogo sicuro come è stato rappresentato in questo processo?. La nave può esser considerato solo un Pos temporaneo” e “che la nave non sia un luogo sicuro è un principio consolidato. Anche le navi ad hoc per effettuare il salvataggio devono avere dei requisiti ben precisi. Quindi, solo la terraferma può essere un Pos e questo lo ha ribadito anche la Cassazione“.
Anche nel caso di uno sbarco a terra, tuttavia, vanno fatti alcuni distinguo: “Non tutti i Paesi possono essere considerati un porto sicuro – ha spiegato anche Ferrara -, perché non in tutti i Paesi vigono le regole democratiche e il rispetto dei diritti umani. La Libia e la Tunisia non sono Paesi in cui si può applicare un Pos”, ad esempio. “Lo dice anche l’attuale ministro degli Interni Matteo Piantedosi che nella sua testimonianza ha riferito che ‘i centri in Libia sono sicuramente centri illegali, mai abbiamo consegnato delle persone ai libici'”, ha affermato il sostituto procuratore. Aggiungendo: “Lo sbarco in un luogo sicuro è un obbligo di risultato”. Di conseguenza i migranti a bordo delle navi “prima si fanno scendere e poi si redistribuiscono, altrimenti si rischia di fare politica su persone che stanno soffrendo”.
Il punto attorno al quale ruota il processo è la paternità della decisione di non far sbarcare i migranti. Salvini si è sempre difeso affermando che si è trattato di una decisione collegiale: “Tutto il consiglio dei ministri era d’accordo”, ha spiegato ad esempio l’ex capo del Viminale il 31 luglio 2020 in collegamento con “Aria Pulita” sul canale 7 Gold, ricordando che “il divieto ingresso nelle acque italiane di questa nave spagnola aveva tre firme: la mia, quella del ministro dei Trasporti Toninelli e quella del ministro della Difesa Trenta“. Secondo la Procura, invece, sulla questione non ci sono dubbi: “Quando Salvini diventa ministro dell’Interno le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei pos vengono spostate dal Dipartimento libertà civili e immigrazione all’ufficio di gabinetto del ministro e in particolare è il ministro a decidere. Questo è l’elemento chiave“, ha proseguito il sostituto procuratore. “Ce lo confermano gli ex ministri Trenta, Di Maio, Lamorgese, l’ex premier Conte, persino il ministro Piantedosi, seppur cercando di annacquare l’obbligo, che la responsabilità di emettere il Place of Safety era del ministro Salvini – ha aggiunto Ferrara -. Lo stesso Salvini lo ammette quando dice che avrebbe firmato il pos se non fosse intervenuta la sentenza del Tar”.
Dopo la ricostruzione del contesto normativo nazionale e sovranazionale che regola la gestione dei migranti fatta da Ferrara, l’accusa ha analizzato le varie fasi della vicenda. La sostituta Giorgia Righi ripercorso, tappa dopo tappa, la vicenda fin dall’inizio, riferendo le dichiarazioni fatte dai testimoni sentiti nelle scorse udienze e citando i documenti acquisiti agli atti nel processo. Quindi è intervenuta la procuratrice aggiunta Sabella, secondo cui “le posizioni del ministro Matteo Salvini diedero luogo a un caos istituzionale“, una situazione che avrebbe portato “ad approntare soluzioni di fortuna”. A ritrovarsi in una condizione di “estrema difficoltà” fu la Guardia costiera.