La filiera della canapa è a un passo dal baratro, dopo il sì della Camera dei deputati all’articolo 18 del disegno di legge Sicurezza. Manca solo il timbro del Senato, per cancellare un comparto economico con 13 mila lavoratori e 3 mila aziende. Gli imprenditori sono scesi in trincea, perfino Coldiretti è sul piede di guerra. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida tace, le uniche parole memorabili furono di scherno: Cannabis light? Meglio il thc..”.

Intanto, il governo tira dritto bollando gli allarmi come infondati. Con la nota del 10 settembre, il dipartimento antidroga di palazzo Chigi ha rispedito le critiche al mittente rassicurando gli agricoltori della canapa: “Il provvedimento non incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale (…) consentendo la prosecuzione delle attività di chi ha investito nel settore”. Dice il governo: stop al commercio delle infiorescenze per vietare il mercato della cannabis light; via libera ai semi della canapa, al fusto e ai rami per favorire l’industria tessile, edile, alimentare, la cosmesi e gli altri business. Dunque gli agricoltori possono coltivare i terreni e dormire tra due guanciali, suggerisce il governo, basta scartare il fiore. Peccato che la pianta, prima della fioritura, agli agricoltori non serva quasi a nulla.

Eppure la nota di palazzo Chigi parla chiaro: “le fibre per impiego tessile vengono ricavate dalla lavorazione del fusto e dei rami della pianta”, mica dalle infiorescenze. Una mezza verità che sfiora la menzogna, “perché serve lo stelo lungo della canapa, all’industria dei tessuti e all’edilizia, dunque bisogna attendere il fiore con la maturazione della pianta”, racconta Jacopo Paolini. Coltiva 15 ettari in Abruzzo, con la sua azienda Enecta. Paolini fa parte della Federazione Nazionale Bioeconomia in Confagricoltura, ed è vicepresidente del comparto Canapa e Lino del Copa-Cogeca, l’associazione dei coltivatori europei che raccoglie le organizzazioni nazionali.

Parte da un principio: l’articolo 18 del ddl sicurezza vieta la “lavorazione” del fiore. “Ma il fiore – dice Paolini – è sullo stelo, da cui si estrae il canapulo per il settore edile e si ‘sfilaccia’ la fibra per il tessile: per ottenere fibra e canapulo, dunque, l’agricoltore commetterebbe un reato”. Obiezione: il coltivatore potrebbe raccogliere gli steli prima della fioritura, per restare nel recinto della legge? “Sarebbe antieconomico, senza il fiore il canapulo è poco e la miglior fibra (cosiddetta lunga) si ottiene con la pianta matura. C’è una ragione, se la canapa si raccoglie in tutto il mondo durante la fioritura di settembre”.

Secondo Paolini, il governo sbanda quando nella nota suggerisce: “gli alimenti, le bevande e i cosmetici possono essere prodotti solo dalla lavorazione dei semi della Cannabis Sativa Linnaeus”. Un paradosso: “per fare il seme bisogna lavorare il fiore, vietato dalla legge”, dice l’imprenditore.

Ma anche la cosmesi sarebbe azzerata, perché nel fiore alberga il cannabidiolo (Cbd), un principio attivo richiestissimo. La Commissione Ue l’ha inserito nella lista dei cosmetici, il CosIng (Cosmetic Ingredients database), nel 2021. Due giorni fa, la nota dell’antidroga lo classificava tra gli stupefacenti. La smentita è firmata dal Tar, appena 24 ore dopo la pubblicazione del comunicato governativo. I giudici amministrativi hanno sospeso il decreto del ministero della Salute (datato 27 giugno 2024) che inserisce il Cbd nella tabella dei medicinali stupefacenti. Decisiva, per il verdetto, la perizia tecnica del professor Costantino Ciallella (già Direttore dell’istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma): secondo il docente, il Cbd non determina dipendenza psicofisica e non possiede effetti psicoattivi.

La sentenza del Tar, a ben vedere, fa tabula rasa delle ragioni del governo: il divieto della cannabis light, ufficialmente, è per ragioni di sicurezza stradale, minata dallo “stato psicofisico” (così recita la nota) di chi fuma cannabis light o assume i derivati del fiore, ricco di Cbd. Ma se il cannabidiolo non è stupefacente, perché affossare migliaia di imprese e lavoratori? Del resto, la commercializzazione del principio attivo è legale in tutta Europa: nel Vecchio continente, le associazioni della filiera della canapa si preparano alla battaglia legale.

La canapa industriale certificata è classificata come prodotto agricolo dal Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), il massimo livello del diritto comunitario. Tanto che la pianta intera, senza distinzioni tra le sue parti, consente di accedere ai fondi europei PAC. Impedirne la vendita e l’importazione, violerebbe le regole sulla libera circolazione delle merci nel mercato comune. “Già due sentenze della Corte di Giustizia europea hanno bocciato le limitazioni imposte dagli Stati Membri alla produzione e circolazione di canapa, perché il CBD, che si ottiene da fiori e foglie, non è stupefacente, dunque il commercio di tali prodotti è lecito”, avvisa l’avvocato Giacomo Bulleri.

La terza sentenza potrebbe riguardare l’Italia. Se l’articolo 18 del ddl sicurezza andasse in porto, il piano delle associazioni prevede un ricorso giudiziale per portare la questione alla Corte Ue. Non è neppure esclusa una procedura d’infrazione, da parte della Commissione. La speranza è che la maggioranza rinsavisca e stralci la norma nel dibattito in Senato.

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