La storica riforma della giustizia pretesa e ottenuta dal presidente uscente Andrés Manuel López Obrador scuote il Messico. Nel giorno dell’approvazione del Senato, martedì, le proteste di piazza sono state contraddistinte dalla tensione con tanto di invasione della sede istituzionale di qualche centinaio di manifestanti. Ora i diversi stati della Repubblica dovranno decidere se fare propria la riforma: già molti (governati da Morena, il partito di Lòpez Obrador) hanno dato semaforo verde. La nuova legge prevede in particolare l’elezione con voto popolare dei membri della Corte suprema di giustizia della Nazione, del tribunale elettorale della magistratura della federazione, di un nuovo “tribunale di disciplina giudiziaria e, in generale, di tutti i giudici distrettuali e dei magistrati “di circuito”. Si parla di 1688 cariche totali, di cui 21 a livello nazionale e le altre di competenza dei diversi stati. Più della metà dei giudici saranno eletti nel 2025, i restanti nel 2027.

La Suprema Corte – massima autorità giurisdizionale e organo garante della Costituzione – avrà 9 componenti (“ministri”) anziché 11 e saranno in carica per 12 anni e non più per 15. A questo alto incarico si potrà candidare solo chi ha più di 35 anni e un’anzianità decennale come avvocato e non ha ricoperto incarichi nell’anno precedente. Il tribunale disciplinare sostituirà il consiglio giudiziario federale, l’organo di amministrazione e supervisione interna della magistratura: questa nuova istituzione potrà ricevere denunce da qualsiasi persona o autorità e potrà indagare su chi sarà nominato ministro o ministra della Corte Suprema, oltre che i membri della magistratura e il personale giudiziario. Ultimo punto della riforma è la creazione dei “giudici senza volto”, figure che verrebbero utilizzate per casi legati al crimine organizzato e forme di violenza elevati.

Una manovra per “democratizzare” la magistratura, ha assicurato il presidente (che il primo ottobre lascerà l’incarico alla sua successora Claudia Sheinbaum, del suo stesso partito). Nell’intenzione di Lòpez Obrador è una riforma per combattere la corruzione strisciante nel paese e quindi anche all’interno del corpo dei magistrati. Tra i sostenitori della riforma c’è chi non nega che il voto popolare non possa subire processi corruttivi ma un po’ come battuta dice “è più difficile corrompere 120 milioni di persone che le poche che hanno il potere di decidere”. E difficile trovare chi negasse la necessità che il Messico avesse bisogno di una riforma del sistema di giustizia non solo del potere giudiziario. Proprio su questo si è creata una polarizzazione nel dibattito che aveva più a che fare con il posizionamento pro-contro “Amlo” che sul merito della riforma.

Per l’organizzazione femminista Intersecta la riforma “non affronta i numerosi problemi che caratterizzano il nostro sistema giudiziario e, in tal senso, rappresenta la perdita di un’occasione storica per riformare seriamente il sistema, come le vittime, le organizzazioni della società civile, il mondo accademico e la popolazione in generale chiedono da decenni”. “Se oggi ci troviamo di fronte a questa riforma – continua l’associazione -, è in gran parte dovuto alla stanchezza della popolazione nei confronti della (mancanza di) giustizia. Da un lato, i cittadini non si fidano del sistema giudiziario a causa delle esperienze o della socializzazione delle esperienze e percepiscono i giudici e i magistrati come alcune delle autorità più corrotte del Paese. Il sistema giudiziario (che comprende la magistratura e altre istituzioni come le procure), la sua struttura, i suoi processi e il suo linguaggio sono concepiti per essere complessi e inaccessibili a gran parte della popolazione, oltre che per riprodurre meccanismi di discriminazione nei confronti di popolazioni storicamente discriminate”. Ceci Patricia Flores Armenta, fondatrice del collettivo Madres Buscadoras di Sonora, su X commenta: “Sarebbe stato bello” se le vittime fossero state consultate sulla riforma, un atto che sarebbe stato – dice – di “buon senso”. Per contro un documento firmato da oltre 300 accademiche e accademici sottolinea che oltre all’elezione popolare dei giudici di vario livello la riforma tocca anche altri aspetti. Per esempio: “L’eliminazione del vitalizio per i giudici della Corte Suprema, la riduzione da 11 a 9 giudici, così come l’eliminazione delle due camere per rendere il plenum più gerarchico, mirano a garantire un funzionamento più efficiente e più vicino alla realtà di milioni di messicani”.

La scelta “democratica” di dare al popolo il potere di scegliere ruoli apicali per la giustizia messicana si scontra con il “sistema Messico”, vero e proprio laboratorio dove poteri politici, forze di sicurezza ed economie legali ed illegali creano relazioni a diverse geometrie che si trasformano in forme di governo e sfruttamento del territorio. In questo scenario la vita vale spesso pochi pesos, si ammazza per poco, e si è pronti a vendere tutto. Così pensare che l’elezione popolare possa risolvere la corruzione nel sistema di giustizia è una paura legittima.

Ma forse la cosa più importante da segnalare non entra nel merito della riforma in sé ma è un dettaglio politico che è fondamentale. Per far passare la riforma AMLO e la maggioranza hanno dovuto contare sull’assenza di un senatore del Movimento Ciudadano e di un voto a favore da parte dell’opposizione. Il voto è arrivato da Miguel Ángel Yunes Márquez, con il supporto del padre Miguel Ángel Yunes Linares. Una famiglia con una lunga storia politica e di potere, ma anche diverse accuse tra cui delitti elettorali, frodi all’erario, fino alla copertura di una rete di pedofilia. Un dettaglio non da poco, che ha fatto inorridire molte e molti che solitamente appoggiano l’operato del presidente. Uno di loro – Carlos Perez Ricart – ha scritto su Reforma: “Qualcuno dovrà spiegare alla Storia (con la S maiuscola) che l’approvazione della riforma giudiziaria, ultima pietra del governo di López Obrador, è stata possibile solo dopo aver promesso l’impunità a un uomo corrotto e alla sua famiglia. Questo fatto – quell’unico fatto – rivela le crepe di una riforma che ha nascosto i mandati di arresto nei cassetti senza fondo di una scrivania. Il paradosso fa male”.

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