Due attentati in tre settimane, in quella che fu definito il “mese del terrore” in California. Il presidente nel mirino era Gerald Ford: in entrambi i casi, a puntare le armi contro il capo della Casa Bianca, furono due donne. Una di loro, Lynette Fromme, era una seguace di Charles Manson. A conti fatti, Donald Trump, dopo quanto avvenuto a Palm Beach, non può vantare il primato di essere sfuggito alla morte nello spazio di poco tempo. Le cronache raccontano che, chi ritiene di avere un conto aperto con la società americana, prima o poi mette nel mirino l’inquilino numero uno dello Studio ovale, o – nel caso di The Donald – il candidato alla presidenza.

I due attentati a Ford fanno parte della storia degli Stati Uniti: il Los Angeles Times ne conserva tanti dettagli. Il primo attentato risale al 5 settembre 1975 ed avvenne a Sacramento. Lynette “Squeaky” Fromme aveva 26 anni ed una devozione per Charles Manson, il capo della comunità che era stata artefice del massacro di Sharon Tate – moglie del regista Roman Polanski – nell’agosto 1969, assieme ad altre quattro persone in una villetta di Cielo Drive, a Los Angeles. Lynette puntò una calibro 45 verso il presidente, ma gli agenti del Secret Service le saltarono addosso prima che potesse premere il grilletto. Lo stesso Ford raccontò di aver notato quella ragazza con un vestito rosso che si avvicinava, ma era convinto che volesse solo “stringergli la mano”.

Jesse Bravin, un reporter oggi al lavoro per il Wall Street Journal, scrisse un libro sull’attentatrice dal titolo “Squeaky: The Life and Times of Lynette Alice Fromme,”: nel volume si evidenziava il fatto che “Squeaky” non nutrisse un rancore personale verso il presidente ma “era molto arrabbiata con il sistema – raccontò Bravin – e con quello che riteneva fosse il degrado ambientale. Ford stava andando a parlare con uomini d’affari a Sacramento e lei pensava che il governo volesse abbattere le sequoie”. La seguace di Manson è uscita dal carcere nel 2009, dopo 34 anni di carcere. Se “Squeaky” non era riuscita a sparare, il 22 settembre 1975, vicino all’hotel St. Francis, Sarah Jane Moore esplose un colpo verso Ford con un revolver calibro 38. Sarah mancò di diversi metri il presidente, anche perchè un veterano della guerra del Vietnam – Oliver Sipple – essendosi accorto di quanto stava accadendo, le afferrò il braccio e la spinse a terra.

La donna era stata fermata dalla polizia appena 48 ore prima: aveva in auto una calibro 44 non denunciata, così come le munizioni. Tuttavia, la donna era stata rilasciata. Come racconta il Los Angeles Times, Moore rivelò: “Mi dispiace di averci provato? Sì e no. Sì, perché non ha ottenuto molto se non buttare via il resto della mia vita. … E no, non mi dispiace di averci provato, perché al momento mi è sembrata una corretta espressione della mia rabbia”. Moore fu rilasciata sulla parola dopo 32 anni di carcere. I due episodi raccontano storie di disagio sociale e sembrano quasi anticipare la trama raccontata nel 1976 da Martin Scorsese con il film Taxi Driver, protagonista Robert De Niro. Nella sceneggiatura, si racconta della solitudine di Travis Bickle che medita una azione eclatante nei confronti di un candidato, per reagire ad una vita senza sonno e senza amici o affetti. Voce narrante, Travis prima di mettere in atto il suo piano, confessa: “Era un’idea che andavo rimuginando da parecchio tempo: era lui, era lui il simbolo di tutto quello che di male era successo a me”.

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