Docente di Filosofia teoretica, è uno dei relatori della 35esima edizione dei Colloqui di Dobbiaco, che si terranno dal 27 al 29 settembre
“La speranza non ha nulla di buonista. Non nega la disperazione, con cui sempre bisogna fare i conti, e ha senso solo se legata al concetto di responsabilità, come ha sempre insegnato l’ecologista politico Alexander Langer, non a caso fondatore della ‘Fiera delle Utopie concrete’”. Mauro Bozzetti, autore, tra gli altri, del libro Ecologia e giustizia. Ivan Illich e Alexander Langer (Castelvecchi), insegna Filosofia Teoretica all’università di Urbino ed è uno dei relatori della 35esima edizione dei Colloqui di Dobbiaco, ispirati dallo stesso Langer, che si terranno dal 27 al 29 settembre prossimi. Il titolo dell’edizione di quest’anno è quanto mai centrale: “Speranza contro ogni speranza”. Caos climatico ed estinzione delle specie, guerra in Ucraina e nella striscia di Gaza, autocrati al potere in tutto il mondo: con queste notizie è difficile guardare con ottimismo al futuro. La tre giorni vuole dunque rappresentare un laboratorio di idee su come “sconfiggere le policrisi e ritrovare fiducia e perseveranza”, ma anche su come mettere in pratica la conversione ecologica, dall’agroecologia, alla città dei 15 minuti, alla cittadinanza energetica, alla conservazione della natura e ai diritti umani.
Di fronte a tanta distruttività, specie quella della crisi climatica, come poter sperare, senza che questa speranza sia una negazione?
Questa domanda è molto adatta ed è quella che mi ha spinto a partecipare: ovvero il senso da dare alla speranza rispetto al mondo che abbiamo davanti, alla crisi climatica, ma soprattutto rispetto alla disperazione. La mia tesi è che la speranza non deve sostituirsi al senso delle cose per arricchirlo. Non serve, in altre parole, a rendere più forte il senso delle cose. C’è anche molta disperazione con cui bisogna fare i conti. Il mio intento è togliere il buonismo alla speranza, per riportarlo sul terreno della disperazione, sul terreno dialettico negativo di Adorno, per intenderci. Non c’è speranza senza il suo contrario.
Ci sono degli autori che potrebbero aiutarci meglio a capire come stare in equilibrio tra disperazione e speranza?
Anzitutto, occorre, come ho detto, privare la speranza dell’aurea buonista che spesso le viene data. Ma soprattutto serve appoggiarsi a un concetto molto importante che è quello della responsabilità. Da questo punto di vista mi vengono in mente due autori speculari, Hans Jonas e Ernst Bloch, autori rispettivamente del Il principio di responsabilità e de Il principio speranza. Senz’altro la prospettiva di Alexander Langer era più vicino a quella di Jonas: c’è bisogno di un nuovo imperativo ecologico. L’etica kantiana non basta più. Noi abbiamo delle responsabilità non solo rispetto a quello che facciamo ma anche a quello che non facciamo e che dovremmo fare. Impegnarci, appunto, per la crisi climatica cambiando i nostri stili di vita, impegnandoci a fondo per garantire una vita futura alle prossime generazioni.
La crisi climatica resta per il pensiero una vera sfida, non solo etica ma anche teoretica.
La crisi climatica – che è veramente scandalosa perché a farne le spese sono già oggi quelli che meno hanno contribuito a creare la crisi stessa – rappresenta una nuova categoria del pensiero. Penso a Platone, secondo cui il tempo è eterno, oggi invece noi abbiamo a che fare con la relatività, con un clima stravolto che rischia di farci soccombere. Tornando alla speranza, un altro autore a cui far riferimento è anche Kafka.
A cosa pensa, in particolare?
Adorno racconta di un incontro tra Kafka e Max Brod, suo biografo e amico. Brod gli chiede se il mondo è una cattiva giornata di Dio, e se al di fuori di questo ci può essere ancora della speranza, Kafka risponde: “Certo, infinita speranza, ma non per noi”. Uso questa metafora per dire che la speranza c’è solo se noi cambieremo la nostra vita, attuando una versione ecologica integrale come voleva Langer, sapendo tutti i limiti che il nostro agire deve avere.
Quali autori ci aiutano a superare il nostro antropocentrismo? Lo stesso Langer, ad esempio?
Sì, sicuramente Langer è decisivo, e mi piace citare il concetto della critica all’antropocentrismo, a favore di una internaturalità di ispirazione quasi francescana, Langer ha un’anima francescana, amava uno stile di vita semplice, la modestia, la lentezza, il silenzio che sono compiti primari. E poi c’è, ovviamente la politica.
Langer ha riportato in primo piano il tema del rapporto tra la sinistra e il linguaggio verde: con quali esiti?
Queste due anime sono ancora oggi in conflitto. Langer ci tiene a sottolineare che le virtù verdi sono costitutivamente diverse da quelle socialdemocratiche, perché portano con sé aspetti come la consapevolezza del limite, l’obiezione di coscienza al conformismo e al consumismo, il privilegiare le economie di sussistenza invece di dare tutto al mercato, il conciliare le ragioni ecologiche con quelle della democrazia. Tutte queste virtù sono qualitativamente diverse da quelle solo sociopolitiche economicistiche di certa tradizione di sinistra. Ma il punto fondamentale è soprattutto uno.
Quale?
L’ecologia non è una cosa in più, non è una parola nuova nel vocabolario classico della sinistra, ma una categoria filosofico-politica da cui partire per ricostruire tutti gli altri aspetti della vita, alimentazione, modo di vivere, vegetarianesimo, come si risparmia, viaggi, mobilità, di un tipo di lavoro. Muovendosi sempre in modo concreto, e rendendo desiderabile questa prospettiva, come ha sempre scritto e detto Langer.