L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, prevista dalla legge del 9 agosto 2024 n. 114, ha sollevato critiche sostanziali, sia sul piano giuridico che su quello istituzionale. La recente memoria della Procura di Reggio Emilia, che solleva la questione di legittimità costituzionale della norma che ne ha disposto l’abrogazione, mette in luce le molteplici incongruenze che questa decisione legislativa ha generato, in particolare, per quanto riguarda la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche per le possibili violazioni degli obblighi internazionali.
Uno dei punti chiave sollevati nella memoria è la possibile violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. L’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha di fatto eliminato, infatti, la sanzione per una condotta che, in molte circostanze, appare di maggiore gravità rispetto ad altre fattispecie ancora penalmente rilevanti, come l’omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.). Questo ha creato una “disparità di trattamento”, come argomentano i magistrati, tra condotte omissive meno gravi, che restano punibili, e condotte più dannose che ora risultano non perseguibili.
La Procura non manca, contemporaneamente però, di sottolineare che la questione della legittimità costituzionale rischierebbe di reintrodurre retroattivamente, in caso di una dichiarazione di incostituzionalità della legge, norme penali abrogate comportando un effetto “in malam partem” per gli imputati per via della “riespansione” della norma abrogata.
A parte questo effetto, quale diretta conseguenza di un accoglimento del ricorso, cosa possibile considerata la qualità del percorso legislativo, un altro aspetto importante riguarda la violazione degli obblighi internazionali, in particolare quelli derivanti dalla Convenzione Onu di Merida contro la corruzione, ratificata dall’Italia nel 2009. Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, l’Italia va contro gli impegni assunti per garantire la trasparenza e prevenire i conflitti di interesse nella gestione della cosa pubblica. Ma non basta, la scelta del legislatore pone il nostro Paese in una posizione di non conformità anche rispetto alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, dove il reato di abuso d’ufficio rappresentava una garanzia contro l’uso illecito dei fondi pubblici.
Ma non è tutto. Un elemento poco discusso, ma rilevante, riguarda la tempistica della firma del Presidente della Repubblica. La firma del d.d.l. Nordio è arrivata, infatti, al trentesimo giorno proprio per consentire prima la pubblicazione del decreto-legge “carceri” che introduceva il nuovo reato di peculato per distrazione (art. 314-bis c.p.), pensato come compensazione per l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Questa manovra, ideata per evitare un vuoto normativo, ha però provocato una situazione paradossale in cui, per un breve periodo, entrambi i reati sono stati in vigore contemporaneamente, generando confusione e incertezze nel sistema giudiziario. Questa sovrapposizione normativa ha complicato notevolmente il lavoro dei giudici, creando difficoltà nell’applicazione delle norme, che vedremo in seguito per i ricorsi che ne verranno, e nella gestione dei procedimenti penali in corso.
Per cui, se da una parte, come evidenziato dalla memoria della Procura di Reggio Emilia, l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio non solo solleva questioni di legittimità costituzionale, ma pone anche l’Italia in violazione di obblighi internazionali e europei, dall’altra la strategia adottata per compensare l’abrogazione, con l’introduzione del reato di peculato per distrazione, ha di fatto generato una sovrapposizione normativa temporanea che complica ulteriormente il panorama giuridico e giudiziario.
La decisione del Presidente della Repubblica di firmare il d.d.l. Nordio al trentesimo giorno prova quanto sia stata complessa la situazione, con ripercussioni potenzialmente dannose per l’equilibrio del sistema giudiziario ma, principalmente, al di là di qualsiasi valutazione puramente ideologica, mette in luce carenze significative nel processo di redazione legislativa.
La qualità del percorso seguito, infatti, presenta una serie di criticità strutturali e procedurali che hanno amplificato le conseguenze negative di questa scelta. Innanzitutto, la decisione di abrogare un reato così centrale per la tutela dell’integrità della pubblica amministrazione appare priva di un’adeguata valutazione d’impatto. L’abuso d’ufficio non è stato sostituito da un altro strumento normativo equivalente per garantire la trasparenza e prevenire i conflitti di interesse, lasciando aperti ampi margini di impunità per condotte che, in un sistema moderno, dovrebbero essere fortemente sanzionate.
L’introduzione dell’art. 314-bis c.p. (peculato per distrazione) come tentativo di compensare questa lacuna normativa risulta debole e non risponde pienamente alle esigenze di tutela pubblica precedentemente garantite dall’abuso d’ufficio, per non dire della tempistica confusa con cui sono state introdotte queste modifiche.
Questa sovrapposizione normativa è indice di una scarsa pianificazione legislativa, aggravata dalla mancanza di chiarezza e di coordinamento sulle finalità e sulle conseguenze pratiche delle nuove disposizioni. L’assenza di questi aspetti, purtroppo, denota una debolezza nella valutazione giuridica internazionale e nella visione legislativa, che dovrebbero essere, invece, elementi centrali in ogni riforma normativa.