Competente, ma ingombrante e difficile da gestire. L’addio dell’ormai ex commissario francese, Thierry Breton, a Palazzo Berlaymont chiude uno scontro ormai diventato personale con la presidente Ursula von der Leyen, ma soprattutto toglie dai piedi alla leader tedesca un collega indubbiamente capace ma difficilmente gestibile. Per questo, quindi, pericoloso. Pericoloso per una leadership sempre più debole, dopo una riconferma tutt’altro che plebiscitaria, e per una presidente che ha stravolto la struttura della nuova Commissione cercando di accentrare su di sé il potere, uno schema da divide et impera nel quale Breton avrebbe giocato il ruolo del ribelle.

Breton, ‘uomo del fare’ poco incline al compromesso
“Alcuni giorni fa, nell’ultima fase dei negoziati sulla composizione del futuro collegio, lei (von der Leyen, ndr) ha chiesto alla Francia di ritirare il mio nome, per ragioni personali che in nessun caso lei ha discusso con me direttamente, e ha offerto, come scambio politico, un portafoglio che sarebbe più influente per la Francia nel prossimo collegio”. Le parole utilizzate da Breton nel post polemico su X con il quale ha annunciato le proprie dimissioni immediate dalla Commissione, lui che era stato riproposto dal presidente Emmanuel Macron per un secondo mandato, non nascondono il clima di tensione che si è respirato in questi cinque anni tra il suo ufficio e quello della Presidenza.

Già ministro dell’Economia nel governo di Dominique de Villepin, Presidenza Chirac, membro dei board di banche e grandi gruppi, oltre che di agenzie europee e internazionali, Breton ha sempre mostrato particolare attenzione allo sviluppo economico in ambito digitale. Non è un caso, quindi, che anche gran parte della sua attività da commissario si sia concentrata sulla transizione verde e digitale, sulla sovranità tecnologica dell’Ue, sullo sviluppo del nuovo Digital Services Act.

Un attivismo che ha creato qualche malumore all’interno della Commissione, anche per come questa era strutturata: da commissario “semplice” si è imposto in settori supervisionati da vicepresidenti o addirittura, proprio come nel caso del digitale, da vicepresidenti esecutivi, quelli appena un gradino sotto a von der Leyen. Così, ad esempio, in materia di digitale ha operato andando anche allo scontro con la vicepresidente esecutiva di riferimento, Margrethe Vestager, in alcuni casi scavalcandola pur di portare avanti il suo programma. Strategia che, per quanto poco ortodossa, insieme ai malumori ha portato anche alcuni risultati. È tra coloro che più di tutti si è battuto per la creazione di un sistema di fondi europei ad hoc per la ripresa economica dopo la pandemia di coronavirus. Di più, Breton ha sempre sostenuto la necessità di creare i cosiddetti eurobond, obbligazioni europee per finanziare grandi piani d’investimento e sviluppo dell’Unione. Li ha promossi per il Covid e lo ha fatto di recente anche riguardo al sistema della Difesa, con l’intento di compiere il primo passo verso un sistema comune europeo e soprattutto di rispondere alle esigenze legate alle forniture per l’Ucraina.

Insieme a Vestager, è inoltre il commissario che ha portato alla nascita del Digital Services Act, un regolamento dell’Ue per modernizzare e ampliare la direttiva sul commercio elettronico, un risultato atteso da anni e concretizzatosi proprio durante il suo mandato.

Dallo scontro con von der Leyen alla nuova struttura in Commissione
Tutto questo non basta però a giustificare, almeno agli occhi della presidente della Commissione, la sua riconferma. Anche perché il rapporto con von der Leyen è andato sempre più deteriorandosi grazie alle critiche pubbliche mosse dallo stesso Breton. Nel pieno della campagna elettorale, il francese aveva contestato apertamente la leadership della presidente, anche all’interno dello stesso Ppe, e l’aveva poi tacciata di scarsa trasparenza nell’ambito del Piepergate.

A questo si aggiunge il cambio di organizzazione della futura Commissione. Non più una struttura piramidale, con una presidente, tre vicepresidenti esecutivi, quattro vicepresidenti e 19 commissari semplici, ma una riorganizzazione che prevede, sotto a von der Leyen, la presenza di cinque vicepresidenti più l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue che coordinano i restanti 21 commissari. Uno schema che comporta una frammentazione del potere interno al Berlaymont, con vari commissari e vicepresidenti coinvolti nella gestione di singoli dossier o materie. Questo, di conseguenza, rafforza il potere della presidente von der Leyen. Questo contesto mal si adatta alla presenza di decisionisti come Breton.

Dal portafoglio di peso fino allo sgambetto a Fitto: le opportunità per Parigi
È per tutti questi motivi che l’ormai ex commissario francese era inviso a von der Leyen, tanto da convincerla, stando almeno alla sua ricostruzione, a contrattare direttamente con Macron un cambio di nomina in corsa. E con questo non ha niente a che fare la richiesta della tedesca di presentare candidature che rispettino gli equilibri di genere, dato che da Parigi è stato proposto il nome del ministro degli Esteri Stéphane Séjourné.

Anche per l’Eliseo, però, la mossa potrebbe portare importanti vantaggi. Uno su tutti, già rivelato da Breton, l’ottenimento di una delega più prestigiosa rispetto a quella all’Autonomia Strategica che sembrava destinata all’ex ministro francese. Ad esempio, come chiesto pubblicamente da Macron, “un portafoglio chiave, incentrato sui temi della sovranità industriale e tecnologica e della competitività europea“, dopo lo scontro per la mancata concessione di un mega portafoglio che comprendesse anche la Difesa.

Le contrattazioni tra Bruxelles e Parigi potrebbero influire anche sul futuro europeo del commissario italiano, ossia Raffaele Fitto. La Francia è tra i Paesi che più di tutti ha protestato per la decisione, che verrà ufficializzata martedì mattina, di concedere all’esponente di una formazione che non ha votato la fiducia alla presidente, i Conservatori, una delega importante come quella ai Fondi Comunitari, che comprende anche quelli del Next Generation Eu. Un portafoglio da circa 700 miliardi di euro. Così, mentre socialisti, liberali e verdi europei protestano per la candidatura del ministro italiano, von der Leyen va a contrattare con Macron. E chissà che questo non porti all’indebolimento del politico di Maglie nella nuova squadra al Berlaymont.

X: @GianniRosini

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