Logica ultras da un parte, metodi mafiosi dall’altra. Così, in parte, è stato spiegato ed è passato il senso dello scontro tra Andrea Beretta e Antonio Bellocco. Con il primo che ha ucciso il secondo con 21 coltellate, undici mortali tra gola e cuore. Da un lato, dunque, Beretta, capo ultras della Curva nord dell’Inter, picchiatore tra i più temuti in città e “uomo sul campo” (così lo ribattezzò l’ex capo Vittorio Boiocchi, ucciso a sua volta da ignoti il 29 ottobre 2022), ma nulla di più. Dall’altro lato, un bel quarto di nobiltà mafiosa con Totò Bellocco, già condannato per mafia, a rappresentare in curva gli interessi della ‘ndrangheta di Rosarno e non solo. Beretta che uccide in modo preventivo per sventare a sua volta un agguato contro di lui ordinato da Bellocco.
Eppure, a leggere le carte della Procura di Milano ci si accorge che Andrea Beretta detto Berro o Cavataio, 49 anni, da tempo ha abbandonato la sola logica ultras. Una metamorfosi che lo avvicina più al mondo del crimine organizzato, pur non avendo mai avuto condanne per mafia. Fatti e circostanze in atti illustrano bene l’inedito quadro. Ne parla a verbale Michele A., ex responsabile di funzione nell’ambito Stewarding per conto dell’Inter, allorquando si trova davanti Beretta e altri quattro capi del direttivo. Dice: “Ricordo che (…) e Beretta mi dissero esplicitamente che avrei dovuto dare una mano alla ‘curva’ negli accessi allo stadio”. Chiosano gli inquirenti: “E’ evidente che le modalità con cui la richiesta è stata avanzata segua una logica di stampo mafioso (…). Il presentarsi come ‘Curva Nord’ da parte di 4/5 elementi, oltre tutto noti per il loro background criminale di un certo spessore, appare come un tentativo di intimidazione finalizzato al raggiungimento di illeciti scopi, dove la minaccia, sebbene implicita, è del tutto evidente e rappresentata dalla indiscussa pericolosità degli autori della richiesta”.
Logica criminale, dunque, ben lontana dal mondo ultras. Del resto Beretta si fa forte dei suoi rapporti di peso nel milieu mafioso milanese. Si legge in una nota della polizia giudiziaria: “Vi sono state altre occasioni in cui soprattutto Andrea Beretta, per questioni estranee al tifo calcistico, suggerisce di utilizzare la forza intimidatrice del suo nome e di quello di Vittorio Boiocchi per allontanare minacce che gravano sul suo interlocutore”. Nello specifico “parlando con un suo conoscente che sta subendo molestie in ambito lavorativo, consiglia quest’ultimo di referenziarsi quale ‘amico di Andrea Beretta e Vittorio Boiocchi della Curva Nord’”.
Una condotta che secondo gli investigatori “è insita nell’indole di Beretta”. L’episodio più clamoroso avviene poi a Milano in via Statuto davanti a uno store della Nike. Il negozio sta effettuando una vendita straordinaria di materiale e in quel momento circa 400 persone premono per entrare. Il rischio di scontri è alto. Dentro al negozio i dipendenti sono in allarme. Uno di loro racconterà poi agli investigatori: “Un soggetto, dal fare aggressivo, cercava di attirarne l’attenzione. L’uomo mostrava un telefono, sul quale vi era scritto che ‘loro’ avrebbero potuto gestire la folla in cambio di 100 braccialetti (che garantivano l’accesso al negozio ndr). Contemporaneamente davanti la porta d’ingresso, un altro ragazzo (successivamente riconosciuto per Beretta) che aveva sulla manica del giubbotto chiaramente evidente una toppa (che gli addetti alla vigilanza mi spiegarono essere un simbolo della squadra di calcio Inter Fc), continuava a urlare che la folla avrebbe buttato giù la porta e che sarebbe stato necessario il suo supporto per contenerla. La sottoscritta pertanto si avvicinava all’ingresso e il ragazzo, in modo intimidatorio, le rivolgeva delle minacce. In particolare diceva che ormai il viso della scrivente lo avevano visto tutti, che avrebbero potuto ritrovarla e, indicando la toppa sul giubbotto, affermava che, se non lo avessimo fatto entrare, quel simbolo sarebbe stata l’ultima cosa che la sottoscritta avrebbe visto”.
Insomma, le carte delle ultime indagini sulle curve sembrano mostrare il vero volto di Andrea Beretta. Tanto che si legge come già con Vittorio Boiocchi ancora in vita i due risulta “siano anche legati da interessi illeciti che potrebbero essere legati alla criminalità organizzata ed inoltre che Beretta è in contatto con Giuseppe Sculli, già giocatore di Genoa e Lazio, nipote del boss Giuseppe Morabito detto U Tiradrittu”. Tra i suoi contatti Sculli, è emerso in diverse indagini, ha quello con C.R., pregiudicato siciliano in rapporti con soggetti della curva e intervenuto in alcune discussioni fra maggiorenti mafiosi rispetto al controllo degli affari legati soprattutto al merchandising. Discussioni che riguarderanno anche Beretta. Ancora prima di Bellocco, infatti, poco dopo l’omicidio Boiocchi, altri elementi della ‘ndrangheta che sostenevano il gruppo degli Irriducibili hanno fatto pressione e portato minacce a Berro. Ecco cosa scrivevano gli inquirenti con Boiocchi ancora in vita: “Il ritorno di Boiocchi e il maggior peso che sta assumendo il gruppo degli Irriducibili, i cui componenti hanno spiccata connotazione politica di estrema destra essendo per la maggior parte aderenti alla organizzazione Lealtà Azione, un membro dei quali, Domenico Bosa, fa parte del direttivo nerazzurro, sono elementi che hanno certamente creato una maggiore instabilità all’interno della tifoseria e che potrebbero, anche a breve, spingere al compimento di atti illeciti”. Beretta ne sembra consapevole, tanto che il primo novembre 2022, pochi giorni dopo l’omicidio Boiocchi, si sfoga con la moglie. Riassumono gli inquirenti: “E’ stata registrata una conversazione tra Beretta e la moglie a cui l’uomo, a seguito dell’omicidio di Boiocchi ha esternato il suo rammarico per essere entrato a far parte del direttivo degli Ultras e aver accettato di occuparsi della gestione del merchandising. La donna gli ha suggerito di valutare la possibilità di fare un passo indietro, ovvero di cedere il suo incarico a terzi, circostanza che Beretta non ritiene di poter prendere in considerazione poiché nuocerebbe alla sua reputazione nell’ambiente”.
Beretta dunque decide di restare, ma le pressioni soprattutto dalla parte degli Irriducibili aumentano e non poco. E così, verso la fine di dicembre, prende corpo l’idea poi concretizzata di portare in curva uno striscione unico con la scritta Curva nord. Ed è attorno a questo tema che scattano le minacce. Per quel che risulta in quel periodo si tiene una riunione ristretta durante la quale gli Irriducibili, forti dei rapporti con Boiocchi, pretendono di gestire loro lo striscione unico. Sul tavolo portano i loro “padrini” ovvero la ‘ndrangheta del clan Flachi e Pompeo egemone nel quartiere di Affori, visto che il loro capo, Mimmo Bosa, è persona di fiducia della cosca, tanto da essere condannato tempo dopo per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Gli Irriducibili saranno respinti. Qualcuno per convincerli metterà un’arma sul tavolo. Ora di quelle pressioni ricevute da Beretta ne parla Nazzareno Calajò, boss del quartiere Barona, oggi in carcere, imputato per droga e indagato per mafia. Dirà Calajò: “Noi abbiamo appoggiato i pezzi della curva. La gente sapete perché non ha reagito? Perché sapeva che dietro c’eravamo noi per questo non hanno reagito quelli di Affori, gli facevano un culo così a quelli di Affori (…). Beretta mi aveva chiamato a me quella volta (…) a Carlo (Zacco, ndr)”. Scrive il Ros: “Dalle parole di Calajò emergeva chiaramente che in quella circostanza lui e Zacco (narcos legato a Cosa nostra, ndr) si erano schierati in favore di Andrea Beretta affinché la leadership di quest’ultimo non venisse messa in discussione da una frangia di tifosi dissidenti”. Risultato: gli Irriducibili saranno cacciati dalla curva. E ora però che potrà succedere con Beretta in carcere e Bellocco morto? I vecchi padrini legati ai Flachi e alleati con altri clan vicini alla curva del Milan busseranno di nuovo a denari?
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Inter, nelle carte dei pm la logica di “stampo mafioso” di Andrea Beretta: i contatti del capo ultras con la banda della Barona e con Sculli
Logica ultras da un parte, metodi mafiosi dall’altra. Così, in parte, è stato spiegato ed è passato il senso dello scontro tra Andrea Beretta e Antonio Bellocco. Con il primo che ha ucciso il secondo con 21 coltellate, undici mortali tra gola e cuore. Da un lato, dunque, Beretta, capo ultras della Curva nord dell’Inter, picchiatore tra i più temuti in città e “uomo sul campo” (così lo ribattezzò l’ex capo Vittorio Boiocchi, ucciso a sua volta da ignoti il 29 ottobre 2022), ma nulla di più. Dall’altro lato, un bel quarto di nobiltà mafiosa con Totò Bellocco, già condannato per mafia, a rappresentare in curva gli interessi della ‘ndrangheta di Rosarno e non solo. Beretta che uccide in modo preventivo per sventare a sua volta un agguato contro di lui ordinato da Bellocco.
Eppure, a leggere le carte della Procura di Milano ci si accorge che Andrea Beretta detto Berro o Cavataio, 49 anni, da tempo ha abbandonato la sola logica ultras. Una metamorfosi che lo avvicina più al mondo del crimine organizzato, pur non avendo mai avuto condanne per mafia. Fatti e circostanze in atti illustrano bene l’inedito quadro. Ne parla a verbale Michele A., ex responsabile di funzione nell’ambito Stewarding per conto dell’Inter, allorquando si trova davanti Beretta e altri quattro capi del direttivo. Dice: “Ricordo che (…) e Beretta mi dissero esplicitamente che avrei dovuto dare una mano alla ‘curva’ negli accessi allo stadio”. Chiosano gli inquirenti: “E’ evidente che le modalità con cui la richiesta è stata avanzata segua una logica di stampo mafioso (…). Il presentarsi come ‘Curva Nord’ da parte di 4/5 elementi, oltre tutto noti per il loro background criminale di un certo spessore, appare come un tentativo di intimidazione finalizzato al raggiungimento di illeciti scopi, dove la minaccia, sebbene implicita, è del tutto evidente e rappresentata dalla indiscussa pericolosità degli autori della richiesta”.
Logica criminale, dunque, ben lontana dal mondo ultras. Del resto Beretta si fa forte dei suoi rapporti di peso nel milieu mafioso milanese. Si legge in una nota della polizia giudiziaria: “Vi sono state altre occasioni in cui soprattutto Andrea Beretta, per questioni estranee al tifo calcistico, suggerisce di utilizzare la forza intimidatrice del suo nome e di quello di Vittorio Boiocchi per allontanare minacce che gravano sul suo interlocutore”. Nello specifico “parlando con un suo conoscente che sta subendo molestie in ambito lavorativo, consiglia quest’ultimo di referenziarsi quale ‘amico di Andrea Beretta e Vittorio Boiocchi della Curva Nord’”.
Una condotta che secondo gli investigatori “è insita nell’indole di Beretta”. L’episodio più clamoroso avviene poi a Milano in via Statuto davanti a uno store della Nike. Il negozio sta effettuando una vendita straordinaria di materiale e in quel momento circa 400 persone premono per entrare. Il rischio di scontri è alto. Dentro al negozio i dipendenti sono in allarme. Uno di loro racconterà poi agli investigatori: “Un soggetto, dal fare aggressivo, cercava di attirarne l’attenzione. L’uomo mostrava un telefono, sul quale vi era scritto che ‘loro’ avrebbero potuto gestire la folla in cambio di 100 braccialetti (che garantivano l’accesso al negozio ndr). Contemporaneamente davanti la porta d’ingresso, un altro ragazzo (successivamente riconosciuto per Beretta) che aveva sulla manica del giubbotto chiaramente evidente una toppa (che gli addetti alla vigilanza mi spiegarono essere un simbolo della squadra di calcio Inter Fc), continuava a urlare che la folla avrebbe buttato giù la porta e che sarebbe stato necessario il suo supporto per contenerla. La sottoscritta pertanto si avvicinava all’ingresso e il ragazzo, in modo intimidatorio, le rivolgeva delle minacce. In particolare diceva che ormai il viso della scrivente lo avevano visto tutti, che avrebbero potuto ritrovarla e, indicando la toppa sul giubbotto, affermava che, se non lo avessimo fatto entrare, quel simbolo sarebbe stata l’ultima cosa che la sottoscritta avrebbe visto”.
Insomma, le carte delle ultime indagini sulle curve sembrano mostrare il vero volto di Andrea Beretta. Tanto che si legge come già con Vittorio Boiocchi ancora in vita i due risulta “siano anche legati da interessi illeciti che potrebbero essere legati alla criminalità organizzata ed inoltre che Beretta è in contatto con Giuseppe Sculli, già giocatore di Genoa e Lazio, nipote del boss Giuseppe Morabito detto U Tiradrittu”. Tra i suoi contatti Sculli, è emerso in diverse indagini, ha quello con C.R., pregiudicato siciliano in rapporti con soggetti della curva e intervenuto in alcune discussioni fra maggiorenti mafiosi rispetto al controllo degli affari legati soprattutto al merchandising. Discussioni che riguarderanno anche Beretta. Ancora prima di Bellocco, infatti, poco dopo l’omicidio Boiocchi, altri elementi della ‘ndrangheta che sostenevano il gruppo degli Irriducibili hanno fatto pressione e portato minacce a Berro. Ecco cosa scrivevano gli inquirenti con Boiocchi ancora in vita: “Il ritorno di Boiocchi e il maggior peso che sta assumendo il gruppo degli Irriducibili, i cui componenti hanno spiccata connotazione politica di estrema destra essendo per la maggior parte aderenti alla organizzazione Lealtà Azione, un membro dei quali, Domenico Bosa, fa parte del direttivo nerazzurro, sono elementi che hanno certamente creato una maggiore instabilità all’interno della tifoseria e che potrebbero, anche a breve, spingere al compimento di atti illeciti”. Beretta ne sembra consapevole, tanto che il primo novembre 2022, pochi giorni dopo l’omicidio Boiocchi, si sfoga con la moglie. Riassumono gli inquirenti: “E’ stata registrata una conversazione tra Beretta e la moglie a cui l’uomo, a seguito dell’omicidio di Boiocchi ha esternato il suo rammarico per essere entrato a far parte del direttivo degli Ultras e aver accettato di occuparsi della gestione del merchandising. La donna gli ha suggerito di valutare la possibilità di fare un passo indietro, ovvero di cedere il suo incarico a terzi, circostanza che Beretta non ritiene di poter prendere in considerazione poiché nuocerebbe alla sua reputazione nell’ambiente”.
Beretta dunque decide di restare, ma le pressioni soprattutto dalla parte degli Irriducibili aumentano e non poco. E così, verso la fine di dicembre, prende corpo l’idea poi concretizzata di portare in curva uno striscione unico con la scritta Curva nord. Ed è attorno a questo tema che scattano le minacce. Per quel che risulta in quel periodo si tiene una riunione ristretta durante la quale gli Irriducibili, forti dei rapporti con Boiocchi, pretendono di gestire loro lo striscione unico. Sul tavolo portano i loro “padrini” ovvero la ‘ndrangheta del clan Flachi e Pompeo egemone nel quartiere di Affori, visto che il loro capo, Mimmo Bosa, è persona di fiducia della cosca, tanto da essere condannato tempo dopo per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Gli Irriducibili saranno respinti. Qualcuno per convincerli metterà un’arma sul tavolo. Ora di quelle pressioni ricevute da Beretta ne parla Nazzareno Calajò, boss del quartiere Barona, oggi in carcere, imputato per droga e indagato per mafia. Dirà Calajò: “Noi abbiamo appoggiato i pezzi della curva. La gente sapete perché non ha reagito? Perché sapeva che dietro c’eravamo noi per questo non hanno reagito quelli di Affori, gli facevano un culo così a quelli di Affori (…). Beretta mi aveva chiamato a me quella volta (…) a Carlo (Zacco, ndr)”. Scrive il Ros: “Dalle parole di Calajò emergeva chiaramente che in quella circostanza lui e Zacco (narcos legato a Cosa nostra, ndr) si erano schierati in favore di Andrea Beretta affinché la leadership di quest’ultimo non venisse messa in discussione da una frangia di tifosi dissidenti”. Risultato: gli Irriducibili saranno cacciati dalla curva. E ora però che potrà succedere con Beretta in carcere e Bellocco morto? I vecchi padrini legati ai Flachi e alleati con altri clan vicini alla curva del Milan busseranno di nuovo a denari?
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Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.