Non solo CO2. C’è un altro gas climalterante che continua ad aumentare, nonostante questo aumento sia incompatibile con gli obiettivi climatici (di 1,5 gradi ma anche 2 gradi). A lanciare l’allarme è la rivista scientifica “Carbon Dioxide”, in un articolo dal titolo Why methane levels are rising with no ‘hint of a decline’ (firmato da Orla Dwyer e Yanine Quiroz). Secondo lo studio, le concentrazioni medie globali di metano hanno raggiunto 1931 parti per miliardo a gennaio di quest’anno, contro le 1875 del 2020. Eppure, paradossalmente sarebbe più facile ridurre il metano che la CO2.

Un forte potere riscaldante, ma si dissolve più velocemente

Il metano, dopo la CO2, è l’elemento che più contribuisce al riscaldamento globale. Sempre secondo “Carbon Brief”, rappresenta lo 0,5 gradi di temperatura del riscaldamento dall’epoca preindustriale (rispetto agli 0,8%) della CO2. Scalda molto di più della CO2 ma svanisce più rapidamente. “Il metano ha un forte potere riscaldante, ma un decadimento più veloce”, spiega il climatologo Luca Mercalli. “Per dirla in modo più specifico: una molecola di metano scalda fino a ottanta volte più della CO2 su un arco di vent’anni e fino a 30 anni se guardiamo invece a un periodo di circa 100 anni”.

Il metano proviene per due terzi da attività umane, come certifica il Global Methane Budget, che stima fonti e pozzi di metano nel mondo. Gli allevamenti rappresentano da soli il 30% delle emissioni; il 19% delle emissioni viene invece dai rifiuti. Anche l’agricoltura contribuisce in parte, specialmente con la coltivazione di riso (8% delle emissioni di metano umane). Infine, il 34% viene invece dalla produzione di combustibili fossili derivate da diversi processi, tra cui perdite involontarie e combustione di gas naturale durante l’estrazione di petrolio. “Quest’ultimo tipo di metano che si produce tramite l’estrazione di petrolio viene considerato uno scarto, quindi, specie se è poco, si preferisce disperderlo: ma è un grave danno, come sono un danno le perdite da metanodotti a volte lunghi migliaia di chilometri”, afferma Mercalli.

Il Global Methane Pledge, un accordo poco vincolante

Proprio perché, però, i settori che producono emissioni di metano sono ben circostanziati dovrebbe essere più facile contenere questo tipo di emissioni, “specie rispetto alla produzione di CO2, che esiste in qualsiasi attività umana – mentre il metano interessa pochi comporti economici – e che rappresenta dunque un problema gigantesco e molto più complesso”, nota il climatologo. In altre parole, avrebbe senso puntare con forza alla riduzione di questo gas, perché gli effetti di mitigazione sarebbero più rapidi. Secondo l’Ipcc, riduzioni rapide e drastiche di metano limiterebbero il riscaldamento globale, migliorando la qualità dell’aria (il metano infatti aumenta l’inquinamento atmosferico formando ozono troposferico). Di fatto, quindi ridurre del 30% entro il 2030, secondo Carbon Brief, sarebbe il modo più veloce per restare entro 1,5 gradi.

Esiste un accordo globale firmato da 150 paesi – il Global Methane Pledge, lanciato durante la Cop 26 di Glasgow nel 2021 – per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, rispetto al 2020. Secondo l’AIE si tratterebbe dell’equivalente delle emissioni dell’intero settore dei trasporti globali. Purtroppo, però, nell’accordo non viene indicato il contributo specifico che ogni Paese deve dare, né ci sono tempistiche per l’attuazione delle misure.

Tra gli impegni più comuni adottati ci sono la riduzione delle emissioni dai rifiuti in discarica, l’aumento di rifiuti solidi differenziati e riciclati, la gestione del letame e del bestiame, la cattura del gas di discarica riduzione delle missioni fuggitive di metano durante la produzione di petrolio.

Metano naturale: perché aumenta (e perché è un problema)

Esiste però un altro problema. Un terzo delle emissioni di metano proviene da fonti naturali, come zone umide e paludi, torbiere del permafrost artico, piantagioni di mangrovie tropicali e paludi salmastre. Ebbene, queste emissioni, di fatto incontrollabili, sono in aumento. “Purtroppo”, spiega sempre Mercalli, “c’è un metano naturale che comincia ad essere rilasciato via via che aumenta la temperatura, un fenomeno di autoamplificazione. Si tratta del metano contenuto nel permafrost, che viene disperso quando il terreno gelato si scongela. Infatti, il materiale organico come torba, residui vegetali che erano congelati da milioni di anni si scongelano e marciscono. E se nel processo di degradazione non c’è ossigeno, come d’altronde sottoterra, si produce metano. Questo è un grande punto interrogativo del riscaldamento globale indotto dall’aumento di temperatura e, ripeto, ahimè incontrollabile”.

Tornando a ciò che, invece, si può fare, ci sono poi alcuni progetti in corso per ridurre le emissioni, ad esempio un mangime che riduce le emissioni, bloccanti del metano sempre per i bovini, progetti per allevare pecore ad emissioni inferiori, persino un vaccino, ma anche un integratore di alghe per bovini.

Satelliti e IA per controllare le emissioni

Un’altra speranza viene da alcune iniziative di monitoraggio portate avanti dall’ESA, che pure ha lanciato l’allarme sull’aumento delle emissioni di metano. Un ruolo cruciale è svolto dal satellite Copernicus Sentinel-5P , che aiuta a tracciare le emissioni di metano su scala globale. Questi dati satellitari possono anche aiutare a identificare i punti caldi del metano, consentendo persino il rilevamento di fonti più piccole come discariche, zone umide e fonti agricole. Un altro nuovo progetto che verrà lanciato all’inizio del 2025, chiamato AI4CH4, utilizzerà l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per rilevare le fonti puntiformi di metano dalle immagini satellitari, migliorando la capacità di monitorare e quantificare le emissioni di metano.

Ma tutto questo ancora non basta. “Le società energetiche dovrebbero introdurre dispositivi di sicurezza migliori per evitare perdite; ma soprattutto occorrerebbe ridurre drasticamente la produzione e il consumo di carne, soprattutto quella dei bovini. E poi c’è il poi il settore rifiuti: le discariche non controllate producono metano da fermentazione rifiuti organici. Molte discariche moderne hanno raccolta del metano con pozzi e tubazioni, che viene recuperato e bruciato per produrre energia, ma il meglio sarebbe la raccolta separata dell’umido per avviarlo a digestore”, conclude Mercalli.

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