So far, so close. Così lontana, così vicina. Come si osserva la Cina, nel suo ruolo di produttore e venditore di automobili? Curiosità e interesse per i prezzi (talvolta) allettanti? Preoccupazione per il futuro dell’industria europea dell’automotive? Perplessità sulla effettiva funzionalità della rete di assistenza sul territorio? Un bel cocktail di suggestioni si può appalesare sedendosi al volante di una vettura di una marca cinese, e a maggior ragione se oltre a sedercisi sopra la si vuole comprare. Mettiamo il caso della Omoda 5, la prima macchina importata in Italia dal brand Omoda&Jaecoo, che fa parte del gruppo Chery, uno dei più lanciati nelle attività internazionali. Dal 2026 Chery sbarcherà anche in Nord America e l’obiettivo è di esportare due milioni di auto fuori dalla Cina entro il 2030.

La Omoda 5 è un crossover- quasi- coupé lungo 4,37 metri e spinto, per ora, solo da un motore turbo benzina 1600 con 147 cavalli di potenza. La versione elettrica arriverà più avanti, dicono. Costa 27.900 euro nell’allestimento Comfort e duemila euro in più nell’allestimento Premium (tettuccio apribile, telecamere esterne a 360 gradi, volante riscaldabile, portellone apribile elettricamente). Nella fase di lancio commerciale, tuttavia, la Premium viene proposta a 27.900 euro, come la Comfort. Poco? Giusto? Tanto? Saperlo, ah, saperlo, direbbe l’indimenticato Riccardo Pazzaglia, star dell’arboriana “Quelli della notte”. Comparato a quello della concorrenza europea, nipponica o coreana, il costo della Omoda 5 è ovviamente basso.

Difficile dire se basterà a far spiccare il volo alla marca del gruppo asiatico, trattandosi di una ambiziosa apripista. I manager di Omoda&Jaecoo, nell’incontro con i giornalisti alle porte di Milano, hanno esibito un ottimismo davvero notevole. Raccontando che i concessionari già assoldati (40, che saliranno a 80 entro fine anno e supereranno il centinaio entro fine 2025) sono gasatissimi del prodotto perché i clienti che la vanno vedere ritengono che potrebbe costare anche 35 mila euro, a sbirciarne per ben i contenuti tecnologici.

Sarà naturalmente il mercato a stabilire se la ventina di Adas (sistemi di sicurezza alla guida), il confortevole abitacolo e l’avventuristico design della vettura cinese faranno breccia tra la clientela italiana. Lunga tre centimetri più della gettonatissima Dacia Duster, la Omoda 5 ha un doppio spoiler posteriore e una griglia assai caratteristica: una grande maschera a nido d’api dove in ogni buco – sono tantissimi! – è alloggiato un diamante e che non ha assolutamente eguali in circolazione. Avvolto nel sedile di avvolgente di ispirazione sportiva, il guidatore troverà a disposizione un motore onesto, non particolarmente parco, adattabile in tre modalità. Curiosamente, quando si cambia modalità in due casi il computer di bordo sillaba il nome: “esse pi o erre t” per la sport e e “e ci o” per la eco. Mentre la modalità normale viene sillabata…normalmente.

Per chi non è abituato ai sistemi di bordo cinesi non è di immediata comprensione il funzionamento dei tasti touch. Bisogna allenarsi un po’. L’assetto non è morbido come in molte delle sue connazionali e ciò è bene per chi ama guidare il allegria. Buonino lo spunto. A disposizione, in modalità sport, c’è pure un sound che diffonde all’interno dell’auto un rumore aggressivo. Divertente la prima volta, poi forse è meglio lasciar perdere. In attesa delle versioni ibrida e totalmente elettrica, tocca alla Omoda 5 a benzina saggiare l’accoglienza del pubblico tricolore.

I manager della casa sono certi che questa macchina contribuirà a sfatare il pregiudizio tecnico sulle auto di cinesi, a prezzi tutto sommato abbordabili. Negli anni Settanta, “cinese” era un appellativo soprattutto politico, che, da destra, bollava con accezione negativa le persone di estrema sinistra. Qualche decennio dopo, “cinesata” era diventato sinonimo di prodotto copiato e non troppo all’avanguardia. Cambierà davvero la storia, questo giovane brand modaiolo della gruppo Chery? Alle immatricolazioni l’ardua sentenza.

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