Non sono così anziana ma neanche così giovane da non ricordare quando l’opinione pubblica era angosciata del problema del buco dell’ozono. Era una tema di cui tutti sapevano e di cui parlavano diffusamente anche i media. A metà degli anni Settanta, gli scienziati avevano infatti scoperto che alcune sostanze chimiche prodotte dall’uomo potevano portare all’esaurimento dello strato di ozono, una fascia di gas nell’atmosfera che ci protegge dai raggi ultravioletti che causano tumori e danni a piante e animali e in generale all’intero ecosistema. In effetti, a metà degli anni Ottanta si osservò che l’esaurimento stava realmente avvenendo e che lo strato di ozono, soprattutto sopra l’Antartide, si stava assottigliando in maniera inquietante ogni primavera.
Di fronte a questo problema grave, e alla conseguente preoccupazione collettiva, si fece ciò che bisognava fare. Analizzare scientificamente la causa del problema e rimuoverla. Si scoprì che la causa dell’assottigliamento risiedeva soprattutto nei clorofluorocarburi (CFC), sostanze chimiche che distruggono l’ozono usate nei frigoriferi, nei condizionatori e nelle bombolette spray come quelli dei deodoranti.
L’adozione della Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono prima e poi l’adozione del protocollo di Montreal, nel 1987 ha portato alla riduzione e alla eliminazione dei CFC e all’introduzione degli idrofluorocarburi (HFC) che non riducono l’ozono.
La conseguenza è stata quella che ci si aspettava: lo strato di ozono si è lentamente ripreso, con grandi benefici anche per il clima, visto che molto CFC sono potenti gas serra. Il protocollo è stato poi via via modificato e adattato, ad esempio per proteggere alcuni HFC per proteggere il clima futuro (cfr Valutazione scientifica della riduzione dell’ozono 2022: venti domande e risposte sullo strato di ozono – noaa.gov).
In sintesi, quella della protezione dello strato di ozono è stata una storia di successo, scritta da esperti di varie discipline e basata su un dialogo tra scienza e politica. Inoltre, tutti i paesi del mondo si sono uniti per combattere il problema e, ascoltando la scienza, hanno deciso di optare per altre tecnologie. Si tratta dunque, anche, di un successo enorme della cooperazione internazionale.
Oggi, nel giorno in cui si celebra il 30esimo anno della giornata internazionale per la preservazione dello strato di ozono, è lecito fare una riflessione e porsi una domanda. Ma come mai, se già nel 1987 tutti i paesi, unendosi, sono riusciti in un’impresa veramente notevole, quella di ridurre l’assottigliamento dell’ozono in atmosfera, non utilizziamo questo identico schema per ridurre la CO2 in crescita costante, mentre la crisi climatica si aggrava sempre più rapidamente? Certo, è evidente che la difficoltà più grande risiede nel fatto che, mentre il buco dell’ozono è causato da sostanze chimiche molto specifiche, l’aumento della CO2 deriva praticamente da qualsiasi attività umana.
Però l’impresa dell’ozono non può farci dimenticare, come invece facciamo, il ruolo fondamentale della scienza, che è l’unica fonte che dovremmo ascoltare per agire rispetto al clima. Francamente non ricordo negazionisti della riduzione dei CFC per contrastare il buco dell’ozono, mentre non si contano i negazionisti del contrasto alla crisi climatica.
Lo schema che ci occorre c’è: gli scienziati analizzano il problema e indicano le soluzioni. I paesi del mondo si riuniscono e, con uno sforzo di convergenza, adottano misure che poi mettono in pratica. Misure che, in buona parte, sono costituite da tecnologie alternative a quelle esistenti, come accadde per l’ozono (per il clima, le energie rinnovabili).
Ma non è questo il ruolo che hanno le COP che si svolgono ogni anno? In parte sì, in parte no, nel senso che le COP sono diventate purtroppo incontri mondiali dove il ruolo delle lobby economiche è diventato enorme e quello della scienza, invece, si è progressivamente ridotto. Con la peggiore politica che, di nuovo, ha preso il sopravvento.
Al contrario, rispetto alla crisi climatica, la scienza dovrebbe essere il faro e per l’economia e per la politica. E nel mondo ormai non si contano le migliaia di scienziati che si occupano di clima, così come le migliaia di pubblicazioni e le migliaia di libri ogni anno. Tutto è arcinoto. Eppure non viene applicato.
L’altro elemento è la convergenza e la cooperazione internazionale. Se si parla di atmosfera, tutti i paesi che condividono la stessa atmosfera, ovvero tutti i paesi del mondo, dovrebbero convergere su identiche misure per ridurre la CO2 e adottarle celermente, pena la sopravvivenza di tutti. Ricordo che quando seppi che il buco dell’ozono si era “chiuso” provai una grande gioia, la sensazione che ce l’avevamo fatta a risolvere un problema che sembrava enorme. Oggi non posso dire di provare la stessa emozione rispetto al contrasto della crisi climatica, che sta causando danni radicalmente più gravi di quelli dell’assottigliamento dell’ozono. Speriamo che questa giornata serva a riflettere sul fatto che abbiamo tutti gli elementi e gli strumenti per ridurre la CO2. Basta, appunto, volerlo.