Due pareggi in due trasferte, quattro punti lasciati per strada, la vetta della classifica già ceduta al Napoli di Antonio Conte che, non a caso, non farà le coppe. Nessuna crisi, nessun allarme, soltanto un messaggio per Simone Inzaghi: col turnover l’Inter non è più la squadra ammazzacampionato.
L’Inter dello scorso anno non sarebbe mai inciampata in due partite così contro Monza e Genoa. Ma questo per certi versi era anche prevedibile. È una nuova stagione: i valori si resettano, si riparte tutti da zero e non sta scritto da nessuna parte che una squadra che ha dominato l’anno scorso faccia lo stesso quest’anno (anzi, il recente passato ci ha insegnato con Milan e Napoli che nella Serie A volatile dei nostri tempi è quasi più probabile il contrario). Nel caso dell’Inter però c’è una ragione specifica.
Uno strapotere (forse) irripetibile
Nel 2023/2024 i nerazzurri hanno vinto lo scudetto perché erano la squadra più forte, su questo non c’è dubbio. Lo hanno stravinto, però, perché hanno avuto dalla prima all’ultima giornata come unico obiettivo il campionato. Arrivato al suo terzo anno sulla panchina dell’Inter, dopo un titolo regalato al Milan il primo e una finale di Champions il secondo, Inzaghi sapeva che avrebbe dovuto vincere qualcosa per la piazza ma soprattutto per se stesso. E lo ha fatto, accantonando tutto il resto. L’Europa, persino la Coppa Italia dove i nerazzurri sono usciti insolitamente agli ottavi. Ogni qualvolta si è trattato di scegliere, Inzaghi ha sempre privilegiato il campionato. Tutti i titolari sempre in campo a prescindere dall’avversario, anche quando non sembrava essere poi così necessario, anche se magari dopo due giorni c’era una sfida da dentro o fuori in Europa (che infatti poi non è andata come ci si poteva aspettare). Ma ne è valsa la pena: il divario scavato tra gennaio e febbraio è diventato un abisso, l’Inter ha asfaltato le avversarie e l’intero campionato, al punto da mettere persino in discussione il record di punti della Juve di Conte. La seconda stella è sul petto, questa è storia.
Turnover imprescindibile, ma va ragionato
Adesso però l’inizio di una nuova stagione da campioni d’Italia e la Super Champions all’orizzonte, che porta una barca di soldi a chi arriva in fondo e assicura un percorso favorevole alle prime otto del girone iniziale, pone nuovi interrogativi. Come regolarsi rispetto al doppio impegno, quale privilegiare, che obiettivi darsi? L’impressione è che quest’anno l’approccio sia stato molto più equilibrato, che la coppa rappresenti un sogno troppo stuzzicante per non provarci (le memorie di Istanbul sono ancora fresche) e che le gerarchie, semmai, verranno stabilite strada facendo. Infatti, complice la sosta e il rientro di tanti giocatori dalle nazionali, il turnover è stato subito spinto. Ma nulla è senza conseguenze.
Dopo la vittoria sfumata a Genova nel recupero, l’Inter è inciampata di nuovo a Monza. E se è vero che negli episodi Inzaghi è stato tradito dai titolarissimi (disattento Pavard sul gol subito, impreciso Lautaro in attacco, l’unico reparto in cui non c’erano stati cambi), il risultato è frutto soprattutto di una prestazione deludente, su cui hanno inciso le assenze. L’Inter non può permettersi di rinunciare contemporaneamente a Barella e Calhanoglu, chi può farlo del resto. La manovra si impoverisce e questo può trasformare una trasferta abbordabile in un pantano. Senza dimenticare le implicazioni psicologiche che un turnover massiccio può avere sulla squadra.
Inutile drammatizzare: la stagione è ancora lunghissima ed il problema lo avranno anche gli altri, che sono forse meno attrezzati dai nerazzurri (tranne il Napoli, che le coppe non le avrà proprio: può diventare un fattore decisivo sul campionato, ma non è una sorpresa). Il calendario era stato particolarmente ingeneroso e con City e derby in una settimana qualche sacrificio andava fatto (anche se forse la trasferta proibitiva di Manchester è la partita meno decisiva per il percorso europeo dei nerazzurri). Nel calcio moderno il turnover rimane imprescindibile, ma va ragionato: ogni cambio è una scelta, ogni scelta un’indicazione. Così l’Inter non è più la squadra che ha dominato la Serie A lo scorso anno. E lo scudetto non lo vincerà a febbraio. Magari lo vincerà comunque a maggio. O forse non lo vincerà proprio.