Giorgia Meloni ha ottenuto quello che voleva. E’ arrivata una vicepresidenza esecutiva con delega alla Coesione e alle Riforme. Non è certo il portafoglio economico che fu assegnato a Paolo Gentiloni nella passata legislatura (per quello sarebbero serviti rapporti molto più distesi), ma Raffaele Fitto avrà un ruolo cruciale nella nuova Commissione europea nominata questa mattina da Ursula von der Leyen. Anche perché il ministro italiano per gli Affari Ue gestirà anche i fondi del Pnrr, come auspicato da Palazzo Chigi. Ma la nomina che dalla premier e dal suo governo è stata salutata con entusiasmo può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Per Fitto e per lo stesso esecutivo.

Von der Leyen ha voluto che a controllare il delicatissimo dossier del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza insieme al politico pugliese ci sia Valdis Dombrovskis, al quale Ursula ha affidato il portafoglio degli Affari economici che fu di Gentiloni e per il quale fino a pochi giorni fa era dato in corsa lo stesso Fitto. Seppur da un gradino inferiore rispetto a quello dell’italiano, l’ex premier lettone avrà voce in capitolo sull’intera partita. Uomo di fiducia di Von der Leyen, nella passata legislatura come responsabile dell’euro e della stabilità finanziaria Dombrovskis ha aiutato la presidente dell’esecutivo a tenere sotto controllo il lavoro di tutti gli altri vicepresidenti e commissari.

Falco tra i falchi, noto per il suo rigore nel rispetto delle normative e dei vincoli di bilancio, ha vestito i panni del poliziotto cattivo con gli Stati membri in tema di conti pubblici. Ma sullo stesso Pnrr ha pungolato senza sosta i Paesi in ritardo, ha sollecitato l’Italia a usare i fondi per le riforme strutturali e ha più volte ribadito il suo no a rinviare la completa attuazione del piano oltre il 2026. Una deadline non a caso ribadita oggi da Von der Leyen nella stessa lettera di incarico inviata a Fitto: “Realizzare le riforme e gli investimenti concordati stabiliti nei Pnrr dei Paesi Ue entro la scadenza del 2026 sarà una sfida significativa e richiederà sforzi costanti da parte di tutti i Paesi e della Commissione”.

Una scadenza perentoria che ha una doppia valenza: per avere la credibilità necessaria a chiedere ai vari Paesi di raggiungere gli obiettivi a livello nazionale Fitto sarà chiamato a farla rispettare prima di tutto in Italia. Che finora, secondo uno studio pubblicato il 9 settembre da Openpolis, è riuscita a spendere appena il 26% dei fondi ottenuti: “Questo significa che a fine 2026, a meno di una forte accelerazione, l’Italia avrà erogato al massimo un centinaio di miliardi. Poco più della metà delle risorse assegnate al nostro paese”. Non un bel viatico per l’uomo chiamato a gestire il dossier a livello comunitario per conto di Palazzo Berlaymont.

Ma nella struttura governativa ideata da Von der Leyen per Fitto è previsto anche un altro angelo custode. Si chiama Piotr Serafin, nominato commissario al Bilancio. Fino a oggi è stato rappresentante permanente della Polonia presso l’Ue e capo di gabinetto di Donald Tusk tra il 2014 e il 2019, quando il premier polacco presiedeva il Consiglio europeo. Prima ancora era stato vice capo di gabinetto del Commissario per la programmazione finanziaria e il bilancio Janusz Lewandowski. Conosce i corridoi di Berlaymont a memoria, maneggia i gangli della macchina amministrativa europea ed è in grado di prevederne le insidie più di Fitto, che finora a Strasburgo ha ricoperto solo incarichi politici. Con lui il politico di Maglie dovrà interfacciarsi in tema di Coesione: quando, superata la boa di metà mandato, si tratterà definire il nuovo quadro finanziario pluriennale e con esso determinare l’importo dei nuovi fondi di coesione, Fitto dovrà vedersela proprio con Serafin, e sarà quest’ultimo che avendo in mano i cordoni della borsa avrà la possibilità di decidere in quale misura allargarla e anche come orientare le risorse (la Polonia è uno dei paesi che storicamente ne prende di più). Una figura piena di vincoli, insomma, quella costruita da Von der Leyen per il commissario italiano. Per di più in un esecutivo improntato al principio del “divide et impera” caro agli antichi romani: rispedito in Francia Thierry Breton, l’unico in grado di farle ombra, la nuova Commissione appare come una ragnatela di portafogli molto frammentati strutturata in modo che non possa emergere una personalità forte in grado di fare da controcanto alla presidente. Men che meno, al netto di improbabili sorprese, quella di Fitto.

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